Versi a Teocrito

Versi a Teocrito

Anna Santoliquido

Versi a Teocrito

La poetessa sfida gli idoli e le parole, bussa alla porta del mistero, districandosi tra ruderi e leggende, idilli e vaticini

Prefazione di: Ettore Catalano
Anno di pubblicazione: 2015
Numero di pagine: 100
ISBN 978-88-6194-255-4 Tipologia Tag

Prezzo

15,00

La memoria e il viaggio costituiscono la trama e l’ordito del poemetto Versi a Teocrito, ambientato a Delfi e nei meandri della coscienza.
La storia, il mito e i racconti dell’infanzia stimolano l’autrice a misurarsi con il reale e l’invisibile. Un congresso internazionale di poesia ad Atene e Creta porge l’occasione per inoltrarsi nell’antica Grecia e coglierne le suggestioni.
Con la complicità di Omero e Pitagora, Orazio e Saffo, la poetessa sfida gli idoli e le parole, bussa alla porta del mistero, districandosi tra ruderi e leggende, idilli e vaticini. Il magma che ne deriva procura “brividi metafisici” e sensazioni che innalzano e sotterrano. Teocrito e Demetra sono testimoni del volo e dell’immersione nelle acque dell’Egeo e dell’inconscio. Il cammino della conoscenza succhia sangue, ma riserva meraviglie. Metamorfosi e dialogo connotano il testo dal “nitore classico” che coinvolge e affascina, a conferma delle rilevanti capacità creative e stilistiche della poetessa.
L’opera, con una Prefazione di Ettore Catalano, è corredata delle traduzioni in greco, inglese, tedesco e russo.

Anna Santoliquido

Anna Santoliquido, nata a Forenza (Potenza), vive a Bari dove insegna Inglese. Poetessa, scrittrice e saggista, ha pubblicato diciotto raccolte di poesia, un volume di racconti e ha curato diverse antologie, tra le quali Zgodbe z juga – Antologija juznoitalijanske kratke proze (Lubiana 2005). È autrice dell’opera teatrale Il Battista, rappresentata nel 1999. Traduttrice e operatrice culturale ha fondato e presiede il Movimento Internazionale "Donne e Poesia". Fa parte del Direttivo del Sindacato Nazionale Scrittori ed è responsabile per la Puglia del PEN Club Italia. È membro onorario dell’Associazione Scrittori della Serbia. Le sue poesie sono state tradotte in diciotto lingue. È presente in numerose riviste, saggi critici e antologie nazionali e straniere, tra cui Scrittrici Italiane dell’ultimo Novecento (Roma 2003). È redattrice di varie riviste, tra cui “La Vallisa” e “Clic”. Ha conseguito numerosi riconoscimenti letterari nazionali e internazionali. Nel 2010 le è stata assegnata la cittadinanza onoraria a Mrcajevci (Serbia).

  • Recensione di Francesca Amendola a “Versi a Teocrito”

    17 Dicembre 2019

     

    Versi a Teocrito: tra memoria e viaggio


     
    La poesia per Anna Santoliquido è necessaria come il pane e come il pane deve nascere dall’assolato grano della vita. Siamo figli del nostro secolo: della macchina, del trionfo della razionalità, ma anche del sogno, della fantasia, della memoria. E dalla memoria nasce Versi a Teocrito, Progedit editore. Anna nell’autunno del 1991 è in Grecia, ad Atene e Creta, invitata al X Congresso dell’Organizzazione Mondiale dei Poeti. Realizza il sogno, accarezzato fin dall’infanzia: visitare la terra di Omero, che «aveva il sapore del miele, nonostante i campi arrossati dal sangue degli eroi», scrive nella Premessa. Nei racconti dei vecchi del paese aveva conosciuto le gesta di Ulisse, la devozione di Penelope, i responsi inascoltati di Cassandra. Più tardi scoprì i versi di Saffo e fu «conoscere una sorella». Si era nutrita del mito. Pitagora e la sua scuola a Metaponto erano ad una manciata di kilometri da Forenza. Aveva tante volte conosciuta la Sibilla nei responsi delle masciare1 della sua terra e ne era rimasta affascinata, come già Orazio attratto dai riti magici della saga (maga) Canidia, intenta a preparare una poculum amoris (bevanda d’amore).
    Ettore Catalano, docente presso l’Università del Salento che ne firma la prefazione, scrive: “Anna Santoliquido ha vissuto e resa la cosmicità del far poesia, attraverso una sapenzialità di nitore classico,[…]. E la sua poesia, senza perdere eleganza e controllo, ha saputo farsi carico del dolore del mondo, facendosi strazio testimoniale e, insieme, morale oltranza”.
    La Grecia, con le saghe e gli eroi, era già stata cantata dalla poeta in Decodificazione.. In Versi a Teocrito la memoria e il viaggio costituiscono “la trama e l’ordito” del poemetto, ambientato a Delfi e nei meandri della coscienza. La poeta si immerge in un altrove spaziale e temporale: l’Ellade antica, già cantata da Pascoli e da D’Annunzio nella figura di Ulisse. La Nostra si allontana poiché, in Pascoli, Ulisse è la coscienza dell’uomo moderno, ripiegato su se stesso e attanagliato dall’ansia e dal dubbio; in D’Annunzio è ricerca di esperienze eccezionali. Il viaggio per Anna è non solo esplorazione nell’immenso mare della conoscenza, ma anche mezzo per comprendere la verità dell’esistere.
    Si affida al grande cantore del locus amoenus, Teocrito (al quale si era già rivolto Virgilio nelle Bucoliche e Leopardi negli Idilli); poeta greco forse il maggiore dell’età ellenistica. Era nato a Siracusa nel 315 a.C. e vissuto sotto il tiranno Gerone, fu un poeta bucolico (il termine deriva da bukólos=pastore; poesia bucolica, quindi, canto dei pastori-poeti, la cui vita scorreva serena a contatto con una natura incontaminata). Infatti la Santoliquido presenta nei versi lo straordinario scenario della natura, descritta musicalmente e rievocata con effetti di inimitabile bellezza. E’ accompagnata, in questo viaggio ideale, da Demetra, dea del grano e della gioventù. La scelta non è fatta a caso, sia perché Teocrito aveva scritto le Talisie, ispirate alle feste con banchetti e libagioni in onore di Demetra, sia per le immense distese di grano punteggiate dal rosso dei papaveri, che avevano popolato la sua infanzia a Forenza. Quante volte bambina aveva corso a perdifiato in un campo di grano! Ancora una volta ritornano nella poesia la terra e il mare: due costanti del suo dettato poetico.
    Abbiamo dimenticato che proprio nella cultura greca e romana sono le radici filosofiche, letterarie, artistiche del nostro essere oggi. Pertanto, se ha un significato il poemetto Versi a Teocrito, questo è da ricercare proprio nella energia evocativa dei “miti e poiesis” greci, che ancora ci riguardano e sui quali abbiamo costruito la nostra identità. Nelle ventiquattro quartine libere ci ritroviamo immersi in un mondo “autentico, storico e atemporale; in un “passato solo apparentemente lontano e superato”. Qui è nata la Poesia, che per Anna Santoliquido è principio essenziale della sua esistenza, e quindi della nostra.
    La poeta, guidata da Demetra, dea della “madre-terra” e della fecondità, ci porta a spasso tra grandi e celebri luoghi fisici e ideali della Grecia, che è anche la terra di Talete e del suo discepolo Anassimandro; per il primo l’acqua è il principio dell’intera realtà; per l’altro l’ápeiron (infinito) generò tutte le cose. E’affascinata dalla leggenda e dagli anfratti sembra risuonare ancora il pianto di Demetra, che cerca la figlia Persefone (Proserpina romana) rapita da Hades. Si affida alla metempsicosi e si reincarna nelle ninfe, nelle dee in un cammino ideale di mito in mito, trasponendo il suo mondo contadino nei pastori della Tessaglia. Emerge dalle profondità dell’Ade e s’inoltra verso Delfi. Qui resta folgorata dalla Sfinge dei Nassi, dal volto arcaico di donna. Ha timore dell’oracolo. E’ sedotta da Gea, la Madre terra, e da Temide, la dea delle acque e della Giustizia, che l’invita nel suo santuario a cielo aperto. Penetra nell’inquietante, ma anche affascinante, antro della Pizia, per incontrare Apollo.
    Fluiscono i versi come fiumi dove annega l’anima. Ha fame di eterno e di infinito che la spingono verso un ‘Oltre illimitato’. Il ricorso a Venere, in tono quasi confidenziale, puntualizza che la passione amorosa non è “pazzia” (come nella Didone di Virgilio o di Ovidio), ma forza per contrapporsi agli ostacoli.
    Elementi del folklore quali gli ex-voto si mescolano alle atmosfere fantastiche, che si popolano di dei processionanti insieme alle Grazie, ai Dioscuri, alle «cariatidi pegasi e grifoni». L’atmosfera festante delle fanciulle pulsanda tellus (danzano), confondono la poeta, straniata dalla storia e dalla fantasia. Le viene in soccorso ancora una volta Teocrito, che non è solo il destinatario dei versi, ma il simbolo stesso della poesia. Diventa un nume soccorritore e incoraggiante della sua parola
    Il viaggio è ormai alla fine e l’immagine dell’antico santuario di Delfi: “ombelico del mondo”, invita alla maieutica socratica del “conosci te stesso”, per poter vivere in simbiosi con la natura, nella quale il dio Pan si è occultato, per donarci sensazioni rare ed emozioni uniche.
    Le trasformazioni continuano: la poeta-farfalla vola via e sosta su un arbusto. Tale immagine evoca la morte e ci sollecita ad una riflessione, che non si traduce in angoscia. La morte non la spaventa, poiché è sorretta dalla fede e dagli «stuoli di Serafini», pronti a proteggerla.
    La coincidenza in Anna di ingenium (creatività) e ars (conoscenza letteraria), la capacità di intrecciare il vissuto soggettivo, la quotidianità con la poesia creano ‘versi armoniosi’ nei quali la disposizione delle parole, incastonate con grande maestria, forgiano il marchio distintivo della sua Poesia.



    Francesca Amendola
    Saggista

    Presentazione alla Biblioteca “Joseph & Mary Agostine” di Palazzo San Gervasio (Potenza) il 4 dicembre 2015.

    1 Maghe, fattucchiere.

     

  • Recensione di Gaetano Bucci a “Versi a Teocrito”

    17 Dicembre 2019

    Anna Santoliquido: “Versi a Teocrito ”

    ovvero la poesia come “metamorfosi dell’uguale”

    Versi a Teocrito è l’ultima pubblicazione di Anna Santoliquido. È uscita nel catalogo della casa editrice Progedit, seconda della collana Marsia dedicata alla poesia. Il libro stupisce per la sua preziosità di scrittura e di originalità editoriale.
    Il testo poetico è introdotto da una breve ma chiara e coinvolgente premessa dell’Autrice e da un’elegante ed originale prefazione di Ettore Catalano. La copertina del volumetto è impreziosita da un finissimo acquerello di Rocco Barbarito che allude in modo leggero e intrigante al contenuto.
    Nella stessa copertina è compresa la notevole informazione della traduzione in greco, inglese, tedesco e russo. Il che pone la pubblicazione in un circuito globale coerentemente col moderno percorso artistico di Anna Santoliquido.
    Tutti questi elementi di presentazione denotano quanto importante e significativa possa essere oggi la scrittura poetica, atteso che la cultura e l’arte sono sicuramente i nuovi ponti di civiltà tra i popoli e le loro rispettive storie.
    Sempre più frequentemente, dimentichiamo di essere gli eredi di quella storia greca e romana che da molti secoli, esauritasi nella sfera politico-militare, non si è invece chiusa dal punto di vista culturale, filosofico, artistico e finanche linguistico. Pertanto, se ha un senso il poemetto Versi a Teocrito, questi è da ricercare proprio nella forza evocativa e vivificante di una antica storia di “miti e poiesis” che ancora ci appartiene e su cui gran parte dell’Occidente ha costruito la propria identità originaria. Il poemetto, a ben guardare, è un viaggio, una sorta di sintetica “fenomenologia dello spirito aurorale” della stessa Poesia, che la Santoliquido riscopre tutta intatta e collegata all’uomo ed al mondo d’oggi, nonostante la distanza di decine di secoli. Il lettore di questa sintetica narrazione in versi si trova, nel breve volgere di ventiquattro quartine libere, immerso in un mondo aurorale e autentico, storico e temporale insieme. Ciò che conta non è solo l’immersione profonda in un passato solo apparentemente lontano e superato, ma anche l’evidente ragione d’essere della Poesia, che è essa stessa vita. La Poesia non è “frutto vuoto” dell’immaginario. Per Anna Santoliquido essa è elemento essenziale della ricerca di senso della sua esistenza, e quindi anche della nostra.
    Nella Premessa l’Autrice è molto esplicita nel dichiarare la sua totale, benché trasformata, ascendenza dallo spirito poetico dell’antica Grecia. La scrittura di Versi a Teocrito è stata concepita come un “viaggio della conoscenza” e, aggiungerei, della coscienza. Un viaggio che insiste nella narrazione della partenza lontana al tempo di Omero ma che arriva all’oggi, fino a toccare gli “abissi dell’animo”. 

    Nella Prefazione Ettore Catalano, da par suo, accende fascinosi fuochi di interesse culturale e attese emozionali verso questo poemetto che contiene “il brivido del passato e insieme la salutare presenza della necessaria metamorfosi”. Sì, è questo il punto. Il passato non va ripreso, neanche in poesia, con la illusione che esso possa ripetersi tale e uguale. Il passato va però tenuto in conto per comprendere il cambiamento ineluttabile, il divenire necessario, il destino dell’uomo. L’uomo è, infatti, immerso nel fiume turbolento della sua precaria esistenza, come pure è immerso nel mare tempestoso del più grande consorzio umano. Egli per natura e per forza di cose è costretto a navigare, spesso a naufragare e ancora a riprendere il viaggio. Questa è la metamorfosi, punto focale dell’intero poemetto.
    In questo senso Catalano ha visto bene nei versi della Santoliquido qualcosa che è più di un semplice sentimento o motivo dell’immaginario. Egli ha concluso, richiamando il monito dell’oracolo di Delfi che “ammoniva chiunque a cercare prima in se stesso e poi ad aprirsi agli arcani della natura”. Grande allusione e significativo avvertimento che la nostra Autrice fa propri nella sua opera.
    E adesso qualche parola sul testo. Il viaggio in versi di Anna Santoliquido si apre con un “ascolta il canto Teocrito”, dove il grande poeta dell’antichità, che ha celebrato la vita agreste e la natura in appassionati idilli, diventa simbolicamente la personificazione della poesia. La poesia si trasforma quindi, per il tramite immaginario di Teocrito, in soggetto ed oggetto della sfida letteraria dell’Autrice. Ne scaturisce un serrato dialogo con la Poesia che è anche un viaggio nei luoghi e nei miti della Grecia antica.
    Così, l’Autrice guidata da Demetra, dea della “madre-terra” e della fecondità, ci porta a spasso tra grandi e celebri luoghi fisici e culturali dell’antichità. Anna ci accompagna, con parole stringenti e pungenti, dai “misteri di Eleusi” ai principi aurorali della filosofia di Talete e Anassimandro, l’acqua e l’apeiron.
    Più avanti, in un eccezionale accumulo di immagini simboliche e figure retoriche, l’Autrice minaccia di scendere fin nell’Ade pur di incontrare il senso più autentico della poesia; di portarsi alla fonte Castalia per dissetarsi in nome della parola poetica e addirittura di scendere nell’antro e, come Pizia, purificarsi in nome della verità. Non in nome della verità storica o scientifica, ma in nome di quella che, per dirla con Heidegger, riempie di autenticità e di senso il nostro essere.
    Tutto per la Santoliquido, in nome di Apollo, è giustificato ed è anzi desiderato e ambito. Per questo Lei si dichiara disposta ad urlare i propri versi ad Epidauro. E poi, ad un certo punto, invoca addirittura Afrodite per proteggersi dalle minacce dei nemici della parola e dell’arte della bellezza, che vede come “tegole di storia”. Infatti, scrive: “sono sublimi gli Inni ad Apollo / il coro è maestoso / la musica intriga / l’anima si rilassa”.
    Teocrito, quindi, non è solo il destinatario dei versi e il simbolo stesso della poesia. Egli nell’immaginario della poetessa è anche un nume protettore, una presenza atemporale a presidio della sua parola. Attraverso la presenza del suo spirito, l’Autrice addirittura immagina le sue parole confuse e congiunte con ciò che per lei ancora è vivo della Grecia di millenni addietro, come ad esempio le arpe, le lire ed anche le “statue acefale”.
    Quasi per magia Anna Santoliquido si sente farfalla e dialoga con gli estinti. Anche Lei come “Apollo uccide Pitone” e, seppure il “chitone è scomparso”, ancora i rischi e i pericoli dell’uomo d’oggi possono essere superati, o quantomeno alleggeriti, facendosi attirare dal Parnaso. Che significa? Semplice, la ricerca della bellezza, specie quella di senso insita nella poesia, è la strada obbligata per la salvezza, anche per l’uomo e il mondo d’oggi.
    Secoli e secoli di storia, di apoteosi e di cadute civiltà sono accolti in questo poemetto e risolti in modo allo stesso tempo semplice e magnifico dalla cara e stupefacente Anna che così conclude: “ho Saffo al fianco / e stuoli di Serafini sulla testa”. Alla fine del poemetto una sorta di miracolo si è compiuto. È quello della circolarità del tempo e di una specie di eterno ritorno dell’uguale. Anche nell’età della globalizzazione e dell’informatica, della produzione post-industriale, dei conflitti e delle sfide planetarie è la poesia, come tutta l’arte, che ci salva. La poesia che è prima di tutto ricerca di senso attraverso la parola e i suoi più profondi e nascosti “patrimoni di senso”.

    Gaetano Bucci

    Libreria Di Marsico
    Bari, 9 ottobre 2015

  • Recensione di Graziella Todisco a “Versi a Teocrito”

    17 Dicembre 2019

    VERSI A TEOCRITO: UNA GEMMA IN QUATTRO LINGUE

    Un artista, un poeta può avere la funzione di arrichire la visione della vita, condividendo con noi lettori un frammento della sua esperienza emozionale e nel contempo farci riflettere sulla faticosa ricerca della conoscenza e sull’inquietitudine del dubbio, mitigata soltanto dalla parola profonda della poesia. Ed è ciò che fa Anna Santoliquido con l’ultima sua pubblicazione, un poemetto in versi dal titolo Versi a Teocrito (Progedit, 2015), contenente le traduzioni in quattro lingue, con il quale ci rende partecipi di un momento di turbamento, di sensazioni “che innalzano e sotterrano”, vissuto nel 1991 a Delfi, durante il X Congresso dell’Organizzazione Mondiale dei Poeti.
    A me, docente di lingue e traduttore, si chiede di sofferarmi su alcuni aspetti linguistico-traduttologici. E, tuttavia, prima di affrontare l’argomento della traduzione, non posso non esprimere alcune considerazioni su questo piccolo gioiello, che si aggiunge alla vasta produzione della scrittrice. Piccolo sì, una gemma sì.
    Sì, piccolo, – infatti, ad una prima lettura il poemetto si presenta molto breve nei suoi novantasei versi, divisi in ventiquattro quartine, ognuna delle quali non supera le venti parole.
    Sì, una gemma – per il vigore poetico con il quale Anna Santoliquido ci propone quest’opera a partire dall’apparato compositivo; infatti, la forma ridotissima dei versi sembra quasi indicarci che nel suo fare creativo la scrittrice proceda operando per sottrazione a favore di una adamantina concisione, generatrice a sua volta di un’energheia che pervade gran parte del poemetto, fino a raggiungere nella ventesima quartina il crinale della metamorfosi, testimone a sua volta di cambiamento tematico-stilistico. Brevità e concisione che si reggono sull’essenzialità della struttura soggetto/verbo/complementi, (inevitabili, ma incastonati con estrema parsimonia). Pochissimi gli aggettivi; su un totale di circa quattrocento parole, sono solo dieci gli aggettivi; un unico avverbio temporale, ma di cospicuo rilievo.
    E’ sufficiente, infatti, leggere i primi versi del poemetto, per percepire la forza di quell’mperativo “ascolta” rivolto a Teocrito, tutto proteso a fermare il poeta greco. Un Teocrito in fuga? Un Teocrito che si nasconde? Quella stessa voce, che nelle quartine successive incalza in tono di aperta sfida – “ti stanerò”, “userò…il fulmine per raggiungerti”, “ti troverò”, fino a quel formidabile “sei tu Teocrito?” “mi riconosci?” della sedicesima quartina, che sancisce la presenza della poetessa nel luogo pù sacro della poesia, “tra le mura di Apollo”, Delfi. E, al contempo, ne afferma l’identità di poeta in grado di “secernere versi”. E noi, lettori, siamo resi partecipi di tale inseguimento, che ben presto si trasforma in un viaggio di conoscenza, proprio grazie alla forma che, pur nella vigile economia compositiva, l’opera assume grazie alla succesione di versi risonanti di echi, richiami e rimandi al misterioso universo delfico, in un vorticoso gioco di “tegole di storia”, e di “frange di fantasia”.
    E’ come se il poemetto fosse percorso dall’intreccio di due linee compositive. Una, costruita intorno all’io della voce poetica, che ora è Demetra/Persefone, conciliatrice delle opposizioni; ora è Pizia, la veggente che “mastica l’alloro” nel decifrare i vaticini, ora Sibilla nell’atto della profezia. Voce che opera nel tempo; dal passato trasporta memorie di un’intera civiltà, vive intensamente il presente, si impadronisce del futuro.
    La seconda linea, più narrativa, ci guida nel ‘quando’ e nel ‘dove’ dell’agire poetico mediante un’ardita fusione fra silenzi echeggianti delle voci di poeti e filosofi – Omero, Talete, Anassimandro – e il luogo delfico, in cui ogni pietra, ogni rovina è depositaria di miti e riti menadici, misteri, voluttuose danze, oracoli e orge baccanali. Il tutto, in un indefinibile e immutabile presente narrativo senza tempo, nella fumosa grotta dell’Oracolo dove Pitone, il drago/serpente è stato ucciso, perché Apollo possa parlare.
    E qui, nella grotta sacra, solo dopo il coinvolgente rito di purificazione, non privo di momenti terrificanti, alla presenza inmmobile e “pensosa” della Musa che assiste e giudica, solo in quell’ “ora” della ventesima quartina, si compie la metamorfosi di colei, che pellegrina in questi luoghi sacri, verso “nosce te ipsam”: si spoglia del suo involucro e libera la farfalla, la splendida creatura alata, messagera di bellezza racchiusa in ogni voce poetante, mentre la messa a punto temporale di quell’ ”ora”, così presente e così remota, se da un lato rimanda ad un momento intensamente vissuto nel paesaggio mediterraneo, trapunto di teneri olivi e avvolto nella dolcezza di un lontano ottobre, dall’altro fa riapparire anche tutti gli onnipresenti “imbarazzi”, le incertezze, i dubbi di un’anima consapevole dell’ineluttabilità di altre innumerevoli metamorfosi da venire, eppure certa che la parola poetica, consacrata in un viaggio di conoscenza e protetta da Saffo e dai Serafini, può, e forse deve, continuare a evocare l’eredità ricevuta dal passato, interrogando, al contempo, la pienezza del presente.
    E quale è il compito del traduttore quando deve affrontare la traduzione della materia poetica che riceve dal testo nella lingua di “partenza”? Quando cioè l’urgenza del processo creativo risulta in una composizione complessa, di per sé semanticamente “oscura”, “opaca”, strutturalmente multiforme, e soprattutto, portatrice, pur nella sua smisurata potenzialità di interpretazione, di un esito unico, irripetibile e irrinunciabile? Bisognerebbe, per dirla con John Berger, tornare al “preverbale, raggiungere, toccare la visione o l’esperienza da cui sono scaturite”. La traduzione lungi dall’essere la semplice trasposizione di parole da una lingua all’altra, si muove in un universo multiforme, anche se ci pare che la spinta a ‘traducere’/ trasportare il senso sia ‘spontanea’, congenita a tutti noi in innumerevoli momenti dell’esistenza: traduciamo/trasportiamo segnali in azioni, traduciamo i pensieri in espressioni, traduciamo spinte psichiche in gesti, traduciamo, mediante la griglia della creatività, il groviglio di emozioni e reazioni, impressioni, stupori e suggestioni in opere d’arte.
    Tanto più difficile quest’operazione diventa, quando l’arte in questione è un’arte verbale, come la letteratura nel senso più ampio (oralità e scrittura) e appunto la poesia. Il traduttore, questo artigiano delle parole, deve affinare i suoi mezzi interpretativi; a partire dal leggere e rileggere l’originale, dall’immaginare tutto ciò che sta dietro e intorno al testo, per poi togliere la delicata materia poetica dalla calda e rassicurante culla della lingua materna e adagiarla in una lingua altra, diversa, straniera. Si pone, insomma, inter/fra le due realtà linguistiche, alla ricerca dell’indispensabile (e non sempre possibile) equivalenza di senso/significato, senza perdere il controllo né della complessa stratificazione del testo da tradurre, né della lingua ospitante, in un gioco a tre.
    Prima di discutere le traduzioni in quattro lingue; Greco Inglese Tedesco e Russo, che accompagnano il poemetto, una piccola confessione; non conosco il greco, ahimé, e ciò mi priva del piacere di ascoltare i versi “a Teocrito” nella sua lingua. L’inglese, da molto tempo, è stato, ed è, il mio ‘pane quotidiano’ per lavoro, per formazione, per interesse; con il tedesco “me la cavo”; il russo, pur avendolo colpevolmente trascurato per tutta la vita, risuona ancora in me, riportandomi all’infanzia e ai primi anni di scuola. Qualcosa deve essere rimasto.
    Quanto alle traduzioni, è veramente da sottolineare la sensibilità nel mantenere nella traduzione per musicalità del verso, scelta dei termini, costrutti e strutturazione del verso, quell’aura oracolare della grecità arcaica, rendendola ad un tempo ‘contemporanea’ ad un io poetante nel presente.
    Una prima osservazione di carattere generale: rispetto all’originale italiano, i versi tradotti appaiono più lunghi, forse a scapito della concitata brevitas dell’originale. In inglese e tedesco ciò è dovuto a elementi strutturali, quali inserimento di pronomi personali soggetto (in italiano il più delle volte non compaiono), un uso frequente di aggettivi possessivi, ausiliari (don’t/werde), prefissi, suffissi, preposizioni (verbi fraseologici). Nello slavo, invece, la costituzione stessa della lingua porta a particolarità morfologicihe, spostamenti semantici, variazioni del ritmo.
    In particolare, nella traduzione in inglese, la grammatica gioca un ruolo di rilievo. Infatti, la presenza obbligatoria (si premette sempre il soggetto al verbo) di quell’I=io, pronome di prima persona, tende a rafforzare la fiera affermazione dell’io poetico, mentre l’unica forma dell’articolo determinato the accresce, nella ripetività ritmica di uno stesso suono, la concitazione di certe quartine. Altrettanto interessante sembra osservare come la lettera “S”, che segnala la terza persona del presente indicativo (fra altro, unico tempo diffuso nel poemetto, se si esclude qualche raro futuro e soltanto un passato prossimo) favorisca una certa musicalità interna. Molto funzionale ad una traduzione ‘fedele’ in senso lato risulta essere anche la scelta di parole derivanti dal latino e dal greco, piuttosto che dall’anglossassone, il che non solo svela la complessa sedimentazione della lingua inglese, ma anche ne rimanda l’orologio semantico indietro nel tempo, a sottolineare di quanto siamo debitori a quella’antica civiltà.
    Per quanto riguarda il tedesco, la necessità di collocare i prefissi dei cosìddetti verbi separabili, alla fine della frase, così come la necessità di porre alla fine delle proposizioni secondarie le varie forme participiali, infiniti retti da ausiliari, se da un lato certamente produce l’allugamento dei versi, dall’altro ne ricrea la dinamica ritmica e la cifra “classicheggiante” dell’originale.
    In russo, farò cenno solo ad alcuni aspetti lessicali dai risvolti interpretattivi: per esempio, la traduzione dell’aggettivo italiano “sadico” che in russo diventa (scelta del traduttore?) “non farti del male”. Altri esempi: in russo non viene adoperato il verbo essere al presente indicativo, il che pare sottrarre al primo verso della ventesima quartina il potere dell’autoaffermazione, diventando in questa lingua “ora io farfalla”; similmente, poiché la lingua russa è priva del verbo “avere” nell’accezione di “possedere”, si ricorre alla locuzione “u minia” (presso di me [è]), come nel verso “non ho scudo / né elmo” e mentre l’italiano degli ultimi due versi del poema, “ho Saffo al fianco/ e stuoli di Serafini sulla testa”, dove il soggetto è “io”, e Saffo e Serafini sono in posizione di complemento oggetto, in russo i versi sono tradotti con una mutazione sintattico/semantica, corrispondente a “intorno a me [è] Saffo/e stuoli di Serafini [sono] sulla testa”. Ora Saffo e i Serafini appaiono come magnifici soggetti (anche grammaticali) a guardia e protezione di un’anima che, pur
    umanamente presa dall’esitazione del finale “non so”, non esita ad affrontare uno dei più grandi poeti della Grecia antica.

    Infine, qualche parola sulla traduzione di quell’“a” premessa al nome Teocrito nel titolo dell’opera.
    In italiano, nella sua molteplicità di significati (termine, destinazione, luogo, e altri) la polisemia di questa preposizione è molto densa, e incorpora anche il rapporto di paragone. Anche in inglese la preposizione “to” contiene nel suo spessore semantico il significato di aperto confronto: quasi a svelare l’intento del poeta a misurarsi con il gigante greco, laddove il tedesco privilegia la preposizione “an” che all’interno del suo non molto vasto campo semantico presenta anche la definizione, come da dizionario, di “hinsichtlich” (‘(in) quanto a’; con certi verbi cogitandi indica l’oggetto del pensiero, ricordo), sfiorando ancora una volta il significato di accostamento, confronto, in ogni caso di vicinanza.
    Il russo ricorre al semplice dativo, che assume il cosiddetto valore “etico” quando rileva il particolare interesse per ciò che viene veicolato. Anche in questa traduzione, allora, riappare il modo di affrontare Teocrito, intessuto questa volta di interesse e di competizione mista a fascinazione.
    Molteplicità di significati contenuti nella minuscola preposizione italiana, che pone l’interrogativo: i versi sono destinati/offerti a Teocrito? O, piuttosto, rinviano alla sfida dei primi versi?
    Sono queste solo alcune esemplificazioni del lavorio interpretativo dei traduttori, ma che ci svela come il volume Versi a Teocrito raggiunga, nelle traduzioni e grazie alle traduzioni, una sua unità e identità di libro, che, se letto, se ‘raccolto’ e accolto nella sua interezza, accompagna noi lettori nel viaggio di conoscenza e ci induce ad esplorare insieme ad Anna Santoliquido “un lembo della terra di Omero e gli abissi dell’animo”.

    Bari, 9 ottobre 2015

    Graziella Todisco
    Università di Bari

     

     

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