Con il romanzo breve Cuore di spettro (Progedit, 2022) la poetessa pugliese Maria Galantucci si affaccia decisamente bene al mondo della narrativa, con un’opera al tempo stesso delicata e forte, dal costrutto narrativo che fa molto riflettere. Al centro della trama c’è il personaggio di Lara, una donna del Sud dall’esistenza vissuta interamente dentro la famiglia, la cui storia è raccontata su vari piani temporali, ottimamente gestiti lungo la narrazione e riferiti alla madre e alla nonna della protagonista, oltre che alla stessa Lara. Spiega la sinossi di copertina del libro che uno spettro, né anima né corpo e l’una e l’altro, si aggirava per la casa. Aveva attraversato tre generazioni manifestandosi solo alle donne della famiglia, fino a giungere a Lara, preda di improvvise ossessioni, inspiegabili disturbi psicosomatici e violente allergie alimentari. Lo scardinamento della routine quotidiana dovuto all’irruzione di quell’ombra perturbante apre all’interrogazione psicologica sulla propria vicenda clinica ed esistenziale. Le varie sfumature del disamore, della solitudine, del lutto e del disagio sociale emergono dai ricordi della propria infanzia.
Ne sortisce un romanzo di formazione fortemente introspettivo, che però si apre alla rappresentazione di un tessuto sociale in cui, in determinati contesti, il ruolo della donna è ancora legato a modelli anacronistici, ristretti, angusti quando non addirittura servili. Infatti il libro affronta con una scrittura nitida ed espressionista, sebbene alquanto delicata nel linguaggio e priva di forzature tonali, temi molto scottanti attorno alla condizione femminile dentro un Sud in cui resistono ipoteche di passate civiltà, che affondano le radici nelle lontane epoche storiche di un Meridione attraversato anche dalle culture mediorientali:
Sfogliando l’album dei ricordi le tornarono in mente straordinarie immagini delle generazioni passate. Contadine. Madri. Bambinaie. Mogli. Serve. Sacrificate alla famiglia, alla gelosia, alla violenza, alla prepotenza. Un filo sembrava unirle, intrecciando le loro vite in una trama comune. Sia dalla parte materna che quella paterna, le nonne avevano scelto uomini che usavano il loro potere per ferire, punire e controllare.
Dunque vite schiacciate, soverchiate da un maschilismo atavico, un’oppressione che in Lara esita nei severi disturbi psicosomatici connessi alla depressione, peggiorati dalle crisi allucinatorie. Un’oppressione che la donna dovrà necessariamente affrontare e risolvere, per stabilire finalmente con l’universo maschile interazioni improntate a prospettive sane e paritarie. A partire dal rapporto con il padre-padrone che, nonostante tutto quello che il libro racconta, nella memoria della protagonista rimane dentro visioni di amore e felicità. L’autrice ne propone un racconto complesso, nel quale a scenari di prevaricazione e di crudo disamore si alternano tenui diastoli emotive:
Volava con la mente oltre l’ultima fila delle case del paese, lungo le strade che portavano verso la campagna, al di là degli alberi che coprivano l’orizzonte. Laggiù immaginava suo padre, mentre lavorava nei campi, oppresso dalla responsabilità di mantenere la famiglia. Riusciva a vederlo, la schiena curva, il volto cotto dal sole, mentre dissodava la terra dura e pietrosa, mischiando il sudore della fatica ai patimenti. E allora un brivido di freddo le scendeva lungo la schiena e le lacrime si formavano negli occhi. Aspettava che il suo papà tornasse dal lavoro per corrergli incontro e poterlo abbracciare. Riusciva a sentirlo da lontano. Drizzava le orecchie come un segugio. Sentiva il rumore degli scarponi logori sulle scale. Stava arrivando. Si precipitava alla porta d’ingresso e nascondeva il sorriso con la mano. Quando la chiave girava nella serratura provava un senso di felicità assoluta, difficile da spiegare.
Tuttavia il significato profondo del romanzo, che è scevro da tentazioni moraleggianti e da stereotipi di maniera, è il rifiuto del ruolo socialmente subordinato delle donne, è la rivendicazione del valore della loro sensibilità, soffocata dalla mediocrità e dai soprusi della realtà quotidiana. La riflessione non può che ricomprendere ogni situazione di subordinazione che, sebbene non sempre riconoscibile, continua a disturbare la società civile, la politica, le aziende, le collettività, le famiglie. Fino a spingersi alla mercificazione della donna, mascherata a volte e a volte no. Oppure all’aggressività maschile, a partire dalle molestie degli squallidi galletti “che ci provano con tutte” per giungere ai crimini dello stalking e della violenza fisica. Mali che la nostra società è ben lontana dall’estirpare e Maria Galantucci con questo libro ben scritto ce lo ricorda e ci invita a ricordarlo più spesso a tutti.