Francesco Tateo recensisce “Il torchio e le lettere” su «Critica Letteraria»

Francesco Tateo recensisce “Il torchio e le lettere” su «Critica Letteraria»

Recensione di Francesco Tateo apparsa su «Critica Letteraria», n. 172

Pietro Sisto,
Il torchio e le lettere. Editoria e cultura in Terra di Bari (secc.XVIXX),
Bari, Progedit, 2016,
pp. 154, con ill. e tavv. a colori.

Chi ha avuto l’opportunità di seguire l’evolversi degli studi di Pietro Sisto sulla storia della tipografia e dell’editoria a Bari, dal primo, fondamentale volume (Schena 1994) ai più recenti contributi sugli aspetti più vari dell’arte della stampa in relazione con il contesto antropologico e letterario, ha potuto avvertire un approfondimento organico di questo ampio settore della cultura scritta, quasi mirato programmaticamente a scandagliare tutto il possibile raggio d’azione di una ricerca specialistica. È stato un modo discreto via via di capovolgere il senso della compilazione e analisi bibliografica dal rischio della deriva tecnica e tecnologica alla più alta intenzione di farne uno strumento per la storia della cultura. Un percorso che ha visto il prevalere della ricerca regionale e perfino locale non come prosecuzione della cura erudita, ma come parte integrante dell’approfondimento e della comprensione di un fenomeno che non possono fare a meno di aderire ad un concetto sano di microstoria che parte dalla globalità di un fatto culturale per vederne la ricaduta perfino tipografica e contribuire a sua volta alla ricostruzione del fenomeno più generale.
Perciò Pietro Sisto ha inizialmente convogliato lo studio di una produzione culturale priva o scarsamente fornita di strumenti di diffusione quale l’editoria verso la storia di quella situazione, come la storia di Bari nell’epoca dell’Antico Regime, che presupponeva un rapporto con l’industria nazionale, ed ha poi diretto l’iniziale ricerca verso le oasi e via via verso l’affermarsi lento, ma con punte di alto valore, del veicolo più importante della cultura occidentale. Ma lo sviluppo metodologico, che spiega l’originalità di questo libro felicemente intitolato il Torchio e le lette­re, quasi a definire il secolare rapporto fra tecnica e letteratura e la loro produttiva collaborazione, s’intende con il parallelo percorso dell’autore che ha assunto come punto di riferimento dell’arte tipografica la società, i rapporti fra l’uomo, la natura e l’evolversi della sua mentalità. Aspetti sociali che sembrano avere un marginale incontro con la scrittura, come le epidemie, i miti pseudoscientifici, gli animali, le simbologie, le feste, la cultura materiale e le consuetudini locali, sono diventati oggetto di libri elegantemente elaborati, e felicemente intitolati, e di una saggistica periodica regionale costantemente diretta da Pietro Sisto.
In questo complesso e organico percorso il motivo ricorrente è l’associazione costante fra la parola e il segno, segno che può essere – ed è prevalentemente – l’illustrazione che costituisce il paratesto, il carattere e il frontespizio. Sisto ne fa un problema fondamentale, che riguarda non solo il passato che riscopre, ma anche la trama della sua riscoperta, quale appare sin dalla copertina, e poi lungo la stesura, di questo libro largamente illustrato come parte integrante di una documentazione, e così efficacemente realizzato dall’editore Progedit di Bari. Una documentazione che è non solo, talora, inedita per chi consulta libri antichi, ma sicuramente è inedita per il suo assembramento, che finisce per tracciare una storia dell’editoria in Puglia per esempi accuratamente vagliati in funzione di una finalità storiografica. Collaborazioni fra incisori, tipografi e autori, innovazioni formali e utilizzazioni ideologiche e propagandistiche (come mostra una serie di tavole a colori dedicate al secolo scorso) tessono una trama nel complesso nuova nella storia della cultura in Puglia, rapportata alla più ampia vicenda nazionale.
È evidente che le tappe di questa storia della cultura sono segnate da alcuni nomi più o meno famosi che costituiscono punte significative nella loro rarità fino a tutto l’Ottocento: il francese Gilbert Nehou che stampò il primo libro nel Cinquecento, Lorenzo Valeri che domina il panorama feudale ed ecclesiastico della regione, Valdemaro Vecchi che si colloca ad un livello almeno nazionale con la perfezione e quasi esclusiva dedizione all’arte della stampa, Giovanni Laterza che a poco a poco entra a far parte della cultura mondiale, l’incremento novecentesco che supera il carattere elitario del fenomeno e costituisce con alti e bassi l’ingresso della Puglia nella autentica cultura nazionale. Ma in questa evoluzione, che sembra descrivere in tono minore – con qualche punta di eccellenza – quella più generale della stampa nazionale, alcuni episodi meritano il rilievo storiografico che Sisto ha dato loro per una maggiore comprensione del fenomeno tutto.
Si pensi all’opera di incisore svolta anche fuori regione da un pugliese, Francesco Corduba; si pensi all’efficace ed essenziale reminiscenza della funzione avuta dal centro tranese del Vecchi per l’operazione intellettuale ed editoriale promossa da Benedetto Croce presso Laterza; si pensi alla collocazione della letteratura per l’infanzia in un contesto particolare della cultura nazionale, alla operosità documentata di intellettuali del primo Novecento come Piero Delfino Pesce e di un editore che nasce poeta come Lino Angiuli, nell’ultimo Novecento.
Proprio l’individuazione di alcuni fatti editoriali, a parte l’interesse che suscita la rassegna ragionata delle molteplici imprese che sono storia di oggi nel panorama soprattutto barese, mostra come il legame metodologicamente stabilito fra il torchio e le lettere permetta di mettere in luce alcuni episodi che possono dirsi, in una prospettiva microstorica, autentici eventi. L’importanza data da Sisto al laborioso volume laterziano commemorativo del centenario del Borgo murattiano e la vivacità di riviste culturali fiorite ad opera di un poeta e di un narratore che hanno illustrato la Puglia negli ultimi decenni sono il segno di una sorta di consapevolezza editoriale da paragonare a momenti importanti della nostra storia. Il volume laterziano su Bari (1913) vede infatti concentrarsi gli sforzi dei cultori delle memorie cittadine in una regione non molto sensibile, nel passato, su questo versante. Le poesie di Angiuli, che nascono da un’acuta sensibilità per il suo paesaggio, e le fantasie di un narratore come Raffaele Nigro si rispecchiano in una vitalità editoriale (da “Fragile” a “In/oltre” a “incroci”) quale la Terra di Bari non conosceva dalla gloriosa e duratura, e diversa, impresa della «Rassegna pugliese».
Questo incontro fra le lettere e la tipografia, ma anche tra storia, geografia e immagine, costituisce il piacere della lettura di questo libro, ma è simboleggiato, ancor esso visivamente, da una figura naturale ed umana quale l’ulivo, che Sisto ha scelto fra le migliori liriche di Lino Angiuli per documentare una sorta di rinascita affidata alla scrittura e all’arte del libro.

Francesco Tateo

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