“Genericità” di Ferdinando Pappalardo recensito su “Cahiers d’ètudes romanes” da Giuseppe Lovito

“Genericità” di Ferdinando Pappalardo recensito su “Cahiers d’ètudes romanes” da Giuseppe Lovito

La recensione, pubblicata sulla rivista scientifica «Chaiers d’etudes romanes», è consultabile cliccando anche sul sito della rivista, a questo link.


Ferdinando Pappalardo, Genericità.
Il discorso sui generi letterari nella cultura europea

Bari, Progedit, 2013
Giuseppe Lovito
p. 305-310
Notizia bibliogafica:

Ferdinando Pappalardo, “Genericità”. Il discorso sui generi letterari nella cultura europea, Bari, Progedit, 2013, 226 pages. 

Il libro tratta degli autori e dei momenti salienti che hanno contribuito ad alimentare il millenario dibattito sui generi letterari nella cultura europea, a cominciare da Platone ed Aristotele, passando per Orazio, Vico, Goethe, Hegel, fino ad arrivare, in tempi più recenti, a Propp e Bachtin. L’analisi segue un’impostazione di tipo diacronico e sincronico, che è volta a presentare i termini della questione nella loro evoluzione cronologica e dialettica, sullo sfondo del susseguirsi delle varie poetiche, e nel loro articolarsi in un determinato periodo e contesto storico, letterario e filosofico.

L’obiettivo non è di proporre una ricognizione storica del concetto di genere letterario, al fine di dimostrarne o negarne l’esistenza e la validità. Al contrario, esso mira a metterne in risalto l’importanza analitica utile a spiegare meglio il rapporto tra l’interpretazione dei testi letterari e il loro quadro storico-letterario di riferimento, senza tralasciare il significativo contributo fornito alle diverse discipline artistiche.

Il volume, che – come l’autore precisa nella Premessa – riprende, rimaneggiandolo, il precedente saggio, intitolato Teorie dei generi letterari (Edizioni B. A. Graphis, Bari, 2009), consta di cinque capitoli, preceduti, appunto, da una premessa e da un’introduzione. L’interesse di quest’ultima consiste nel fatto che essa delinea “Lo stato dell’arte”, in cui Pappalardo espone gli aspetti principali e i recenti sviluppi della riflessione teorica e critica sui generi.

Il primo capitolo è dedicato al dibattito sulla nozione di genere che si è svolto a partire dall’antichità classica fino al Medioevo. Esso si apre con un breve riferimento al Platone della Repubblica (libri III e X) a proposito del ruolo dei poeti e dell’importanza delle tecniche letterarie da loro impiegate a fini pedagogici, cioè per l’educazione dei cittadini della polis. In seguito, la discussione si sposta su Aristotele che è considerato – a ragione – l’inventore delle categorie (quali, per esempio, quelle di “mezzi”, “modi” e “oggetti”) che, esposte nella Poetica e nella Retorica, sono, successivamente, poste a fondamento dello studio delle opere letterarie. L’assoluta preminenza dei criteri normativi e classificatori dei generi attribuita allo Stagirita è tale da fissare, per opera dei suoi interpreti e in maniera prescrittiva, i termini della questione per i secoli a venire, condizionando sensibilmente l’approccio alla creazione e all’esame dei testi letterari.

Il magistero aristotelico esercita, infatti, la sua influenza non solo nel mondo greco, ma anche in quello romano, dove autori come Orazio (Ars poetica) e, soprattutto, Quintiliano (Institutio oratoria), si occupano del problema dei generi basandosi, però, più sullaRetorica che sulla Poetica. Come ci spiega Pappalardo, la ragione è da ricercare nel fatto che il dibattito sui generi è affrontato nell’ambito del discorso sul canone letterario, che è proposto con lo scopo di costituire un insieme di modelli da imitare per la formazione del perfetto oratore. In altri termini, nella società latina, in cui un posto preponderante è occupato, nella vita civile e letteraria, dall’oratoria, lo studio dei generi poetici permette allo scrittore e all’oratore di padroneggiare le tecniche retoriche su cui si fondano le teorie dell’elocuzione, degli stili e delle forme letterarie.

Più tardi, risalendo lungo tutto il Medioevo fino all’età umanistica, le varie teorie degli stili e dei generi rappresentano la base alla quale scrittori e commentatori si rifanno per comporre e analizzare opere poetiche di ogni tipo. Poste a fondamento dell’« ordinamento delle discipline che studiano le arti della parola » (p. 41), esse non si basano più sullaPoetica, che definitivamente scompare, ma sulla Retorica e sui libri di grammatica, la quale, intesa sempre più come letteratura, tende a regolamentare tutte le discipline dell’Ars loquendi e tutti i generi di scrittura.

Nel secondo capitolo si tratta della restaurazione della Poetica aristotelica e della fondazione del sistema classicistico dei generi. Nel corso dei seicoli XVI, XVII e XVIII, in virtù del rinnovato interesse per la Poetica e grazie alla straordinaria fortuna dell’Ars poetica oraziana, si assiste alla costituzione di un inflessibile sistema classificatorio dei generi letterari. Mossi da un proposito sostanzialmente descrittivo e normativo, i trattatisti di questo periodo – tra i più importanti dei quali ricordiamo Castelvetro e Boileau – analizzando le opere maggiori dell’antichità classica, stabiliscono le forme generiche ritenute come dei modelli ideali da seguire per l’esercizio dell’attività poetica.

Un altro argomento molto discusso è quello relativo al romanzo che, conseguentemente al successo dei suoi primi esemplari, il Gargantua e Pantagruel di Rabelais e il Don Chisciotte di Cervantes, ha cominciato ad attirare l’attenzione di critici e letterati. Questi, dividendosi tra sostenitori e detrattori, hanno dato vita tra ’500 e ’600 ad un acceso dibattito sulle sue origini, sulle sue caratteristiche e sui suoi scopi nel contesto del canone classicistico dei generi letterari dell’epoca. Pappalardo espone i punti di vista dei vari commentatori senza mai limitarsi alla loro semplice illustrazione, ma collocandoli all’interno della discussione a proposito del repentino cambiamento del sistema dei generi provocato dall’affermazione, nel corso del ’700, di altri generi, in seguito alla « nascita dell’editoria moderna, del giornalismo e dell’impresa teatrale […], con la conseguente formazione di un pubblico di massa e l’altrettanto inevitabile professionalizzazione della figura del letterato » (p. 85).

Nel terzo capitolo, la disamina viene condotta nel quadro della polemica settecentesca e ottocentesca tra gli ultimi, strenui difensori del canone classicistico e i propugnatori di un profondo rinnovamento delle forme letterarie, auspicato con l’intento di adattarle alle mutate condizioni storico-culturali. Per la parte italiana, i due autori che si distaccano, con consapevolezza critica, dalla pedante osservanza delle norme aristoteliche sono Gian Vincenzo Gravina e Giambattista Vico, i quali, pur rispettando sostanzialmente i principi della Poetica di Aristotele, insistono sul valore conoscitivo della poesia e cercano di « coniugare l’essenza della poesia con la storicità delle sue forme » (p. 105). Tuttavia, coloro che hanno inferto il colpo di grazia alla rigida normatività propria della concezione classicistica, sono stati – e l’autore del libro lo documenta in maniera molto precisa e convincente – i filosofi e letterati tedeschi, precursori e rappresentanti del romanticismo e dell’idealismo dell’Ottocento : Schiller, Schlegel, Hölderlin, Goethe, Schelling e Hegel. Esponenti della visione essenzialistica dei generi letterari, tendente a esaltarne gli elementi più propri e immutabili, questi scrittori, fatte salve le dovute differenze, concordano tutti nel sostenere che « i generi sono necessari non soltanto a ricostruire le origini e l’evoluzione della poesia, ma anche a illuminarne la natura – peraltro inseparabile dalle forme in cui si esprime – e a indicarne le mete future » (p. 115). Una parte molto interessante di questo capitolo è rappresentata dalla discussione sulla canonizzazione del genere del romanzo tra ’700 e ’800. Dopo aver passato in rassegna le critiche dei suoi più agguerriti denigratori, il professore Pappalardo espone le ragioni, come la sua importanza conoscitiva e l’intento pedagogico, che hanno portato alla sua consacrazione, sancita non solo dalla diffusione presso un pubblico sempre più vasto e variegato, ma anche da un maggiore interessamento ad esso, tanto sul piano teorico quanto su quello critico, da parte di studiosi di letteratura e filosofia.

10 Il quarto capitolo è dedicato al dibattito sui generi nelle teorie esteriche e letterarie di matrice neoidealistica, fenomenologica ed esistenzialistica. Lo studioso barese dà molto spazio all’esposizione della critica di Croce al concetto di genere, a cui quest’ultimo nega ogni validità storica ed artistica in nome dell’assoluta autonomia e unicità della singola opera d’arte, il cui valore non deve essere misurato in base al rispetto delle convenzioni stilistiche, all’ossequio nei confronti dei modelli tradizionali o alle trasformazioni storiche delle sue forme. Il magistero estetico crociano, che per decenni condiziona, soprattutto in Italia, il modo di fare e di interpretare l’arte, è messo in discussione da studiosi come Banfi, Anceschi e Pareyson che, da prospettive e da approcci teorico-critici diversi, ne evidenziano i limiti. Mentre i primi due gli rimproverano, tra l’altro, di aver considerato l’opera d’arte soltanto come espressione di una soggettività creatrice, totalmente avulsa dal contesto storico, sociale e culturale di riferimento, il filosofo piemontese, in aperta polemica con Croce, che pronuncia contro i generi una netta condanna, attribuisce a questi ultimi un’importanza decisiva nei processi di produzione e di analisi di un’opera. Per Pareyson, questa importanza deriva dal fatto che i generi, collocandosi all’interno di una tradizione storico-culturale, conferiscono all’opera d’arte una « singolarità irripetibile » (p. 184) per il modo in cui essi concretizzano la sua “intenzione formativa” e perché, nel fare questo, l’autore propone una sua personale « interpretazione operativa dell’idea d’un genere » (p. 185), il che contribuisce, quindi, a garantire la dialettica tra conservazione e innovazione indispensabile per assicurare la vitalità delle forme artistiche.

11 Nel quinto e ultimo capitolo, Pappalardo prosegue la sua trattazione soffermandosi, in un primo momento, sulla concezione positivistica dei generi letterari. Prendendo ad esempio il suo caso più emblematico, rappresentato da Ferdinand Brunetière, Pappalardo ne espone, in maniera estremamente chiara e accurata, il postulato fondamentale : l’assimilazione delle opere letterarie agli organismi biologici. Ne consegue che, come questi evolvono secondo le leggi darwiniane della necessità e della “selezione naturale”, così quelle si modificano non tanto in virtù delle loro proprietà distintive intrinseche, quanto sulla base di fattori estrinseci, quali il determinismo delle loro forme e « la capacità di adattarsi alle modificazioni dell’ambiente » (p. 192) letterario e non. In un secondo momento, egli passa a considerare i capisaldi della teoria dei generi elaborata dalla scuola del metodo formale, affermatasi in Russia tra gli anni Dieci e Venti del Novecento. Discutendo le proposte teorico-critiche di vari studiosi, quali Sklovskij, Tynjanov, Ejchenbaum, Tomaševskij, Propp e Jakobson, Pappalardo esamina quelle nozioni chiave, come “letterarietà”, “straniamento”, “procedimento”, “funzione” ecc., che sono poste da loro a fondamento di un nuovo metodo d’analisi letteraria e di un nuovo modo di concepire il sistema dei generi. Il formalismo considera l’opera in sé, non in relazione ai suoi presunti elementi essenzialistici, assegnatiglisi aprioristicamente, o a fattori extraletterari, ma in base alle sue specifiche caratteristiche strutturali e alle sue distintive « funzioni costruttive » (p. 197). Il suo scopo, in verità, non è di analizzare il fatto letterario tenendo conto della storia letteraria o di criteri storici, psicologici o sociologici, ma di analizzarne i procedimenti compositivi e il funzionamento degli elementi costitutivi, criteri, questi, tali da far risaltare – per dirla con Jakobson – « ciò che di una data opera fa un’opera di letteratura » (p. 194).

12 Infine, l’autore del libro chiude la sua indagine con l’esposizione della teoria dei generi in Medvedev e Bachtin. Sebbene questi riconoscano ai formalisti il merito di aver innovato profondamente lo studio dei testi letterari, ciononostante essi ne evidenziano i limiti e le contraddizioni. La loro critica principale si focalizza sul disconoscimento dell’importanza del complesso di valori e temi che sostanziano un’opera e che possono essere trasmessi solo attraverso un tipo particolare di genere letterario. A questo proposito, infatti, i due studiosi sostengono che « il genere letterario si configura non come un aggregato di artifici compositivi e di procedimenti linguistici, ma come una struttura semantica che traduce sul piano della comunicazione artistica i contenuti propri di un’ideologia, ossia di una concezione del mondo » (p. 213). Inoltre, nel saggio Il problema dei generi del discorso – in cui Bachtin estende la riflessione sulle forme discorsive dall’ambito strettamente letterario ad altre sfere della comunicazione umana – il genere non è più inteso come un oggetto a sé stante, come un insieme di funzioni e tratti distintivi propri di una classe omogenea di testi isolato dagli altri aspetti della realtà culturale. Al contrario, esso è concepito come uno strumento comunicativo che consente di mettere in rapporto dialogico un parlante (o uno scrivente) e un destinatario (ascoltatore o lettore che sia), sulla base della condivisione, da ambo le parti, di determinate competenze linguistiche, pragmatiche e semantiche, e nell’intento di comunicare certe informazioni e conoscenze relative a determinati ambiti della cultura.

13 Concludendo la sua trattazione con la concezione “dialogica” dei generi del discorso in Bachtin, Pappalardo ha voluto dare il giusto risalto alle teorie che hanno considerevolmente influenzato la maniera d’intendere il loro studio nel corso del Novecento. La riflessione bachtiniana rappresenta, infatti, uno dei più approfonditi e originali esami del concetto di genere degli ultimi decenni. Dialogando polemicamente con le precedenti elaborazioni teoriche, l’autore russo ne critica le posizioni più controverse, ne accetta gli spunti più positivi fino ad arrivare ad una singolare, e decisamente innovativa, impostazione del problema, capace soprattutto di spiegare, sulla base del nuovo modo di considerare il concetto di genere, le dinamiche che regolano il funzionamento e la comprensione non soltanto del sistema letterario, ma anche delle più varie attività comunicative.

14 Tenendo conto del libro nel suo complesso, possiamo dire che la trattazione della materia risulta – a nostro giudizio – approfondita ed esauriente e di grande interesse si rivela la scelta di discutere dello sviluppo teorico e dell’applicazione pratica della nozione di genere, a partire dall’antichità classica sino ai giorni nostri, e attraverso vari autori e varie scuole di pensiero. Infatti, questa impostazione metodologica permette di spiegare le varie fasi del dibattito alla luce dei differenti contesti storico-letterari in cui si è svolto e tenendo presenti i diversi orientamenti di poetica che lo hanno arricchito. Ne deriva, in ultima analisi, una discussione feconda, rigorosa e variamente argomentata che sottolinea l’importanza del concetto di genere come strumento interpretativo e pratico all’interno del panorama degli studi letterari, estetici e filosofici.

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