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Di seguito un estratto
Giustizia e bambini, rami e radici
di Daniela Piana
professoressa ordinaria di scienza politica nell’Università di Bologna
Riflessioni sui metodi e linguaggi di una qualità della giustizia evolutiva, a partire da tre recenti pubblicazioni
La terza pubblicazione che deve essere qui richiamata per il pregio della idea che la ispira e per la delicatezza dei significanti – immagini e apparati al testo sono di vero pregio – è quella che riguarda la storia di Ciclaminia, ovvero la traversia di un mondo in cui, a causa di un brutto incantesimo, si perdono le parole della costituzione e il mondo viene gettato nel caos. Vi sono due idee originali che meritano essere sottolineate e messe in luce per tutto il valore euristico che esse hanno. La prima riguarda la centralità, ancora una volta, della parola per il radicamento della cultura delle regole e il rispetto del principio dello Stato di diritto. Senza le parole che con il loro significato denso di semantica giuridica e di ancoraggio al linguaggio naturale nessuna forma di tutela sarebbe possibile. Non che tali parole debbano essere sempre pronunciate. Ma occorre che ne sappiamo l’esistenza e che siamo consapevoli di condividerne l’importanza. Anche in via silente. In un tempo storico che assegna talvolta un rango minore alla qualità consapevole dell’uso del linguaggio naturale, l’importanza del nesso che intercorre fra valore della costituzione e storia delle parole è da trasmettere ai più piccoli in modo primario e inderogabile. Solo così li si metterà nelle condizioni di potere fare bene le cose con le parole giuste. E se ci sono cose che devono essere fatte bene questo sono proprio le relazioni regolate da regole impersonali con gli altri, chiunque essi possano essere. La seconda idea riguarda l’interazione che esiste fra la capacità di sapere identificare un diritto o una tutela con la persistenza di un mondo ordinato, precondizione a che ciascun individuo possa nella propria autonomia tracciare la propria strada di vita. Una capacità, questa, che va massimamente e prioritariamente costruita proprio nella fase dell’infanzia, quando le premesse di metodo – e quelle di linguaggio – sono da fissare una volta per tutte poiché con esse sarà possibile poi forgiare il futuro, su scala individuale e su scala collettiva.
Verso un quadro analitico per la progettazione di politiche di qualità della giustizia di tipo evolutivo
Riportare al centro del discorso internazionale e nazionale sulla legalità e sulla giustizia il bambino e la dimensione evolutiva dell’infanzia non ha un valore contingente. Si tratta piuttosto di riconoscere che mettere al centro i fondamenti evolutivi della qualità della giustizia costituisce una strada obbligata per assicurare la durevolezza e la resilienza di un sistema socio-giuridico dove il principio dello Stato di diritto è prima di ogni cosa un modo di vivere nel mondo. Se non lo so incardina nel pensiero e nel linguaggio dei più giovani non vi è modo di assicurarne la durevolezza nelle generazioni che verranno.
Se si è trattato dei presupposti culturali e cognitivi della legalità per quanto attiene alle condizioni necessarie attinenti alla formazione delle nuove generazioni, non va trascurato l’aspetto interno al sistema giuridico e giudiziario, ossia le modalità con cui progettare e valutare la qualità di servizi e risposte di giustizia anche dal punto di vista dei minori. Le questioni in agenda sono molteplici e non è questa la sede appropriata per una loro esaustiva trattazione. Tuttavia, è possibile almeno tracciare per sommi capi quelle che ci appaiono le dimensioni di un quadro analitico sul quale le organizzazioni internazionali – a partire dall’OCSE – stanno già operando. La prima dimensione è di carattere sincronico, ovvero culturale/professionale. È opportuno potenziare il profilo delle professionalità e delle specializzazioni che intervengono nella giustizia in relazione all’ascolto dei e nella previsione di tutelare i diritti dei minori. Professionalità che devono comprendere anche quelle che hanno un significato per la vita reale che i minori conducono, con la diversità delle loro categorie linguistiche, modalità di relazionarsi, anche attraverso la dimensione del conflitto, della tensione, della distinzione rispetto a forme generazionalmente diverse e comunque percepite come lontane. Un nesso fra le istituzioni della formazione e quelle della giustizia dovrebbe essere in tal senso immaginato proiettando la dimensione culturale di tale quadro analitico in una prospettiva di carattere diacronico. Una valutazione in itinere del percorso di sviluppo della persona nei casi in cui il minore si interfaccia con il mondo della giustizia – sia essa civile – sia essa penale – appare necessaria. Una seconda dimensione è di carattere sincronico ed è di tipo strutturale e strategico. Spesso lo spazio della giustizia è per il minore uno spazio alieno ed alienante. Non le, o non gli appartiene, non ne è parte. Troppo presto per riflettere sulla giustizia con categorie tecniche, troppo tardi per farlo con categorie neutre. Come fare? Riteniamo che sia necessario un ripensamento degli spazi di giustizia tenendo conto della partecipazione e della espressione delle giovani generazioni che devono sentire di potere trovare in quegli spazi innanzitutto un potenziale di espressione di id-entità. Le tecnologie più recenti possono molto aiutare. Avviare i più giovani a forme di realtà aumentata che insegnino loro quale è il vissuto empatico di una interazione intermediata da istituti giuridici e processuali che non necessariamente saranno immediatamente comprensibili in toto con una razionalità riflessiva ma che potrebbero invece diventare in prima battura parti di una esperienza creativa positiva è un modo possibile, uno dei tanti che si possono immaginare. Altri strumenti di avvicinamento e di socializzazione dell’infanzia agli spazi della legalità e della giustizia possono passare attraverso le forme della teatralità e della musicalità, che possono trovare insieme agli adulti canoni di interazione intrisi di significati poi da scoprire piano piano nel tempo. Insomma, come le parole perdute di Ciclaminia che una volta trovate riportano gradualmente l’ordine e permettono poi di aprire i tesori entro cui si situano i grandi valori del vivere comune – così Angela Mazzia e Alessandra Tilli proiettano la fiaba verso un concreto metodo con cui dare ai più giovani le chiavi del futuro da costruire in modo regolato – analogamente il design di servizi, spazi, tempi e modi della giustizia può essere – se preso come una opportunità istituzionale – un luogo funzionale dove i sistemi di giustizia nazionali, scambiandosi esperienze di successo, possono trovare lo slancio per investire sull’architrave duratura e leggera al contempo della società di domani.