Intervista a Margherita De Napoli
Oggi qui alla Tommaso Fiore abbiamo il piacere di avere nostra ospite Margherita De Napoli, l’autrice del libro “Mi chiamarono Brufolo Bill”. È una giornata molto importante per tutte le classi prime, che avranno il piacere di potersi confrontare con la scrittrice. Prima dell’incontro ho avuto il piacere di poterla intervistare per voi.
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
E’ stato l’istinto. Ho deciso di scriverlo mentre facevo la pendolare e andavo in treno. Infatti dico che è un “pendo-libro”, ovvero un libro elaborato durante un viaggio da Bari a Corato, dove andavo a lavorare. Così per impiegare il tempo mi sono dedicata al libro.
Nella stesura del libro ha inserito solo fatti realmente accaduti oppure per rendere la storia più accattivante ci sono episodi di fantasia?
Allora questa è una cosa a cui ho riflettuto dopo. In realtà io ho bisogno di esprimere fatti realmente accaduti e non c’è nulla di inventato tranne la trasformazione di questi episodi in maniera un po’ fantasiosa. Quando racconto che giocavo a freccette cercando di mirare l’immagine del dentista è certo invenzione, però
è vero che incontravo le mie amiche e che ragionavamo insieme. E’ anche vero quando racconto di quando mi vestivo e del problema di vestirsi per una festa. Immaginate anche stamattina ho pensato a “cosa mi metto”, “speriamo che stia bene”, “i capelli stanno in ordine”… diciamo che le varie preoccupazioni rimangono nel tempo. Alcuni episodi surreali ci sono, ad esempio chiaramente le papille non si ribellavano nella bocca. Quindi la tecnica scelta è di colorire con la fantasia episodi effettivamente accaduti.
Il suo motto è “Io non demordo, ma mordo!” Quanto le è servito nella vita?
Sempre. Non mollare mai. Mi viene la pelle d’oca. E’ così bisogna crederci. E nonostante le docce fredde, se sono
qui è perché non ho mai smesso di crederci.
È sempre attuale?
Sì. Se non credi nell’impossibile, neanche il possibile accade. È così. Io ho creduto nell’impossibile ed è accaduto l’impossibile. Secondo me è l’emozione che rende vivo tutto. Quando si sente dire dai ragazzi “che non si sentono vivi”… Se si conservano, quelle emozioni originarie sono potenti e quindi sono come una benzina: ti danno le mani fredde, le gambe ti tremano, scatenano le farfalle nello stomaco, però dopo ti danno brio, vivacità. Ecco io auguro che voi conserviate sempre queste emozioni.
Quale consiglio può dare ai ragazzi in età adolescenziale, per non sentirsi “inadeguati” nella nostra vita quotidiana, a scuola, con gli amici, in parrocchia?
Il primo è credere in se stessi. Questo non è facile, però come nella frase che ho messo in esergo io sono convinta che “dentro di noi c’è una pietra preziosa, quindi ognuno di noi ha un valore e nessuno mai deve mettere in dubbio questo valore”. Può capitare che l’amico che ti prenda in giro, può capitare che il genitore non ti creda, che magari sdrammatizzi mentre tu stai soffrendo. E’ capitato anche a me. Dicono che sono queste scene, mentre tu ti stai tormentando, a farci male, ma ci fortificano. Bisogna credere in quello che si è, ricordando sempre che dentro di noi abbiamo questo valore che non si può scalfire. Non può essere un battuta, non può essere una derisione, non può essere niente a fermarvi. Voi dovete essere convinti di avere un valore in voi stessi e nessuno potrà mai sminuirvi né da adulti né da bambini. Anche tra gli a
dulti ci sono persone che magari per sentirsi più importanti sminuiscono gli altri. Basta conoscere quel gioco ed è fatta.
Vuol raccontarci il suo giorno più brutto a scuola?
Non lo so quale può essere il giorno più brutto…in genere tutte le interrogazioni, la grande ansia, una grande paura, ma non ricordo qualcosa di specifico. Forse le interrogazioni di matematica. Paura! Nascondimento!
Ed ovviamente il più bello, il giorno in cui si è sentita regina della scuola?
Penso che non sia necessario sentirsi la regina. Infatti non c’è un momento in cui ti senti una regina, sei sempre te stessa e quindi puoi brillare un po’ di più in un giorno oppure brillare un po’ meno. In questo momento non ricordo. Forse è stato il giorno in cui ho conquistato il mio innamorato, ma non sono sicura sia avvenuto a scuola.
Mr. G. adesso cosa fa? Dove vive? Siete ancora in contatto?
Lui ha scoperto una passione per i viaggi e adesso viaggia. Ci siamo persi di vista. Non siamo più in contatto, non so più che fine ha fatto purtroppo. Capita anche di perdersi. Anche se a me farebbe piacere ritrovarsi, a volte però la vita ci porta distanti.
Protagonista indiscusso del suo libro è il signor brufolo. Ma il suo libro non parla solo del problema da un punto di vista dermatologico, quindi qual è la vera metafora del suo libro?
Devo dire che la vera metafora me l’hanno spiegata gli altri, perché quando mi hanno fatto la mia prima intervista telefonica (grande paura) mi hanno detto: “Brufolo Bill è la metafora delle nostre paure”. Confermo perché ognuno di noi ha un punto debole e quel punto debole può renderci più vulnerabili, più fragili. Ci può essere la persona che ha gli occhiali, oppure porta l’apparecchio, oppure ha i capelli che non piacciono oppure si sente più cicciotto, un po’ meno alta, magra. Vi devo dire che sono andata in una scuola in cui i ragazzi mi hanno scritto dei piccoli fogliettini, in modo anonimo, raccontandomi le loro paure. Ho riletto i bigliettini e tutti, anche le persone belle e le più carine, avevano una paura… chi del professore, chi del compagno, chi di essere lasciata sola. Un problema principale durante la crescita è di sentirsi appartenere ad un gruppo: se ti senti isolato, ti senti diverso. Allora domandati perché. Perché questo mi è capitato questo? Perché sentirsi diversi è proprio quella particolarità che ti mette in un angolo. E si rischia di incorrere in fenomeni di bullismo. Ma anche in queste situazioni, io ritengo che la ragazza o il ragazzo che sembrano più fragili in realtà sono le persone più forti.
Oggi si sente sempre più parlare di bullismo, lei cosa consiglierebbe di fare o non fare ad un ragazzo oggetto di bullismo?
Se ti senti forte non devi avere questa paura. Il bullo cerca un capro espiatorio, aggredisce per far sentire più debole te e più forte lui. Una volta che hai compreso questo, non ti senti tu sminuita. Sai il gioco che sta facendo, comprendi che non è diretto a te e avendo questa consapevolezza ti rinforzi.
Con questa domanda chiudo la mia intervista, ringraziandola per la sua disponibilità qui alla Tommaso Fiore. Nell’epilogo, cito testuali parole, “Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”. Personalmente mi ha molto emozionata questa frase, quindi che messaggio vuol dare a noi ragazzi 2.0?
Il messaggio del bruco che diventa farfalla è un messaggio fondamentale. A volte, soprattutto alla tua età, ci sembra che il mondo ci cada addosso, il corpo è in trasformazione naturalmente per diventare grandi. Ma bisogna capire che il bruco cambia per diventare farfalla e volare. Si deve accettare e comprendere, essere tolleranti con se stessi, mentre a volte siamo un po’ duri. Bisogna quindi essere un po’ più morbidi e accettare quei momenti difficili, questi momenti di caduta, perché poi ci si rialza. Questo è il messaggio. Sono contenta che ti abbia fatta emozionare quella frase … ha fatto emozionare anche me.
Grazie Margherita. Eleonora Poveromo