Enzo Varricchio intervista Leonardo Rinella, autore di “Il processo penale al tempo del pretore”, su “Il dubbio”

Enzo Varricchio intervista Leonardo Rinella, autore di “Il processo penale al tempo del pretore”, su “Il dubbio”

Fonte: www.ildubbio.news
Articolo e intervista di Enzo Varricchio

«Ma non era meglio il codice Rocco?»
L’ex pg Rinella: «Il codice Vassalli fu scopiazzato dal modello americano, ma senza tenere conto della realtà dei nostri uffici giudiziari. Inoltre ha sottratto la terzietà ai pubblici ministeri, costringendoli a trasformarsi in poliziotti e personaggi del circo televisivo»

Leonardo Rinella è stato procuratore della Repubblica di Trani. Ha formato la sua cultura giuridica alla luce del vecchio codice processuale penale del 1930 e, nella sua lunga vita professionale, ha assistito alla nascita del nuovo codice di procedura del 1989. In quegli anni ha diretto la Procura di Trani, rendendola un modello di efficienza. Ora in pensione, il suo ultimo libro si intitola Il processo penale al tempo del pretore. Breviario di diritto processuale comparato fra il codice “fascista” del 1930 e quello “garantista” del 1989.

Dottor Rinella, lei è stato un pubblico ministero molto noto negli anni difficili della lotta alla criminalità organizzata in Puglia, è andato in pensione nel 2000 e tesse le lodi del vecchio codice ante 1989. Non teme di essere considerato un magistrato del secolo scorso?
Per certi versi lo sono, molto è cambiato in questi ultimi anni, secondo me in peggio per alcune ragioni oggettive che ho cercato di evidenziare nel mio libro, perfettamente consapevole del rischio di essere considerato un ottuso laudator temporis acti di oraziana memoria, un anziano nostalgico dei bei tempi andati.

Che cosa c’era di buono nel vecchio codice Rocco, di epoca fascista?
Prima di tutto, che non era affatto fascista bensì liberale come il suo ispiratore, il guardasigilli di Mussolini Alfredo Rocco, giurista eccelso; tanto è vero che è durato dal 1930 al 1989, quindi molti anni dopo la caduta della monarchia e l’entrata in vigore della Costituzione. Il codice penale sostanziale è ancora il suo. Il vecchio processo penale si imperniava su una figura di giudice di prossimità, il pretore mandamentale, una figura carismatica che coniugava la vicinanza alle esigenze del territorio con l’autorevolezza di un magistrato al di sopra di ogni sospetto. La poliedricità delle sue funzioni ne facevano un giudice completo, tanto che lo svolgimento per almeno cinque anni di tale ruolo era condizione necessaria per aspirare a promozioni magistratuali. La legge 10 febbraio 1998 lo abolì perché formulava l’imputazione e allo stesso tempo disponeva il giudizio, quindi si riteneva potesse essere prevenuto verso l’imputato.

Che c’è di male nel codice del 1989?
Che non era adatto al sistema italiano, fu scopiazzato sul modello americano che impazzava in film e telefilm, sull’onda di un processo riformista che vide impegnate le migliori intelligenze accademiche dell’epoca ma non tenne conto delle caratteristiche concrete della giustizia italiana e della realtà dei nostri uffici giudiziari, privi delle dotazioni di personale e strumentali per accompagnare la riforma, insomma era un processo per giganti con mezzi da nanerottoli. Troppe erano inoltre le differenze tra il sistema italiano e quello statunitense. Basti pensare che in America il procuratore distrettuale è un organo elettivo; nella stragrande maggioranza dei casi, la tanto osannata cross examination si è rivelata un’utopia quanto le indagini preliminari svolte dagli avvocati. Il controinterrogatorio resta un’arte che pochi sanno praticare. Il rapporto di polizia giudiziaria si è inaridito rendendo più difficile il lavoro del pm. Insomma, più che cantare le lodi del vecchio codice qui si tratti di evidenziare i molti difetti, quantomeno applicativi, del nuovo.

Come vede i suoi colleghi di oggi?
A mio avviso è andata perdendosi la cultura della giurisdizione tra gli operatori della giustizia, i pubblici ministeri in primis, ai quali il codice Vassalli ha sottratto la terzietà tipica delle loro pubbliche funzioni, relegandoli al ruolo di parte del processo e costringendoli a trasformarsi in poliziotti e personaggi dello spettacolo mediatico, almeno per quanto riguarda i casi più eclatanti. Il pm, seduto allo stesso livello dell’imputato come negli Stati Uniti, ha perso la sua aura e pensa alla fama per fare carriera. In questo senso, alcuni pm dovrebbero scendere dal piedistallo mediatico e ricordarsi sempre che sono servitori dello Stato non protagonisti di un poliziesco.

Lei individua nella spettacolarizzazione dei processi la deriva più perniciosa del sistema processuale penale italiano?
Sì, ma non mi riferisco solo ai giudizi sommari e interessati all’audience che si svolgono a Porta a porta, Quarto grado o Chi l’ha visto; cito l’aberrazione di un procuratore della Repubblica che consegna personalmente ai cronisti i DVD contenenti le riprese televisive di intercettazioni ambientali corredate da una musica di sottofondo per allietare il lavoro del giornalista, il tutto nonostante l’art. 114 del codice penale vieti la pubblicazione anche parziale degli atti non più coperti dal segreto istruttorio.

Lei si scaglia contro la cosiddetta opinione pubblica, che pretende di fungere da giudice collettivo?
Il processo è stato trasformato in un pubblico spettacolo in cui chi giudica l’imputato o indagato è una malintesa opinione pubblica alla quale tutto è concesso, prima di tutto violare le garanzie di legge; ad onta delle buone intenzioni del codice Vassalli, il segreto istruttorio si è trasformato in un mito buono solo per le lezioni universitarie, come quello di un processo che si svolge in una sola udienza, o quello dell’obbligatorietà dell’azione penale (solo tre processi su dieci vengono iniziati dai pm). L’avviso di garanzia, atto che doveva rimanere segretissimo come tutta l’attività delle indagini preliminari, è tutto meno quello che il suo nome direbbe, anzi è il colpo che scaraventa nell’incubo l’indagato e la sua famiglia, tanto più e nota la sua persona. Io ho sempre avuto ottimi rapporti con i giornalisti ma una volta un mio amico giornalista riuscì a pubblicare non so come le fotografie dei cadaveri di due corrieri della droga assassinati di una mia indagine coperta da segreto e subito gli inviai l’avviso di garanzia.

Ci sono delle colpe della magistratura in questa sorta di mutazione antropologica che l’ha attraversata?
Sicuramente sì, quando è troppo politicizzata oppure permette fughe di notizie o addirittura consegna atti coperti da segreto. Di vere e proprie colpe non credo ve ne siano state all’epoca dell’introduzione del nuovo processo perché molti di noi si levarono contro quel tipo di riforma ma ormai gli illuminati Conso, Pisapia e Vassalli avevano indottrinato l’intellighenzia giuridica e di seguito l’opinione pubblica che cresceva tra un telefilm di Perry Mason e una puntata di Happy Days. E poi aumentavano i posti direttivi per i magistrati.

Soluzioni da proporre?
Semplificazione delle procedure, depenalizzazione di una massa di reati inutili, responsabilizzazione maggiore dei giudici, investimenti pubblici sulla giustizia.

Data: mercoledì 6 Luglio 2016
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