Pedagogia di nuova cittadinanza
La raccolta curata da Giuseppe Elia per “costruire saperi e valori”
Il tramonto della modernità, a sentire la più recente letteratura sociologica, è ormai un accadimento conclamato. E giù, nell’oblio del tempo che fu, rischiano ora di essere trascinati tutti i suoi postulati più noti, dalla cittadinanza alla democrazia rappresentativa, dal contratto sociale al protagonismo della società civile e dei grandi corpi intermedi della politica, insomma quel tutto “onorevole e gentilissimo”, per dirla con il sorboniano Michel Maffesoli, “di cui la nuova socialità ora non sa più che farsene”.
Ne succede una temperie convulsa, una fase di mezzo della storia, sospesa tra la tentazione di nuove frontiere ideali e la volontà di restauro (anche morale) di ciò che sembra sfumare nella nebulosa postmoderna. Il tempo presente, quindi, come arena necessaria di un ripensamento che coinvolge, fisiologicamente, anche il sistema scuola, da anni al centro di un vivace dibattito sociale, politico e culturale sui propri destini. Un nuovo contributo, in questa direzione, giunge dalla collettanea “A scuola di cittadinanza. Costruire saperi e valori etico-civili” (Progedit), curata dal pedagogista Giuseppe Elia, che raccoglie i contributi dei docenti – Vittoria Bosna, Luca Gallo, Daniele Giancane, Giovanni Massaro, Stefania Massaro e Franca Pesare – appartenenti all’unità di ricerca “Pedagogia: ricerca storica e pratico-teorica nei contesti formali, informali, non formali”, attivata nel 2013 dal dipartimento ForPsiCom dell’Università di Bari.
Il punto di avvio della riflessione, sorretta da un’indagine storico-comparata ed ispirata da una prospettiva teorico-pedagogica, è il rifiuto dell’astrazione quale spazio immateriale di costruzione di modelli slegati dal contesto di riferimento. Al contrario, ad essere investita dal ragionamento, è la scuola reale, quella cioè immersa nella contemporaneità “liquida” ed assediata dalle nuove tensioni dominanti: la globalizzazione, l’emersione delle “forze plutocratiche”, la sempre più frequente delegazione di proposte e soluzioni a caste tecno-burocratiche sottratte al controllo democratico. Ma, prima di ogni altra cosa, quel paradigma neoliberista che dopo aver reciso il “noi allargato” dei legami culturali, religiosi e familiari, sostituendoli con le algide relazioni di mercato, ha declinato la formazione scolastica in funzione del sistema economico e della sua ansia produttivista.
In tale dialettica, spesso violenta, si riafferma così l’esigenza di una rinnovata autonomia dei percorsi formativi, da riformulare per trarne un bilanciato equilibrio tra la costruzione delle competenze esatte dal mercato e la strutturazione di uno “sviluppo umano” che sostenga il cittadino nella lettura dei fenomeni sociali complessi. Fin dalla più tenera età. D’altronde, molto è già cambiato se è vero che i percorsi narrativi dedicati all’infanzia hanno preso a sostituire il consolatorio mondo di draghi, stregoni e cavalieri malvagi con quello, più prosaico, dei bulli e dei mafiosi. La cronaca ha divorato la favola e, ora, il male sociale è il mostro più oscuro. Anche questi sono segni dei tempi.
Leo Petrocelli