Incidere “ferite di parole / nei campi della consuetudine”, come la lingua dei profeti, voleva la poetessa ebrea tedesca Nelly Sachs, premio Nobel per la letteratura nel 1966. Gli Epitaffi (Grabschriften in die Luft geschrieben) sono ottimamente tradotti da Chiara Conterno, in un’edizione che comprende un saggio di Walter Busch e una nota introduttiva di Ferruccio D’Angeli.
Composti tra il 1943 e il 1946, fanno parte del nucleo più antico della lirica d’esilio dell’autrice, che in fuga dal nazismo troverà rifugio in Svezia. “Scritti sull’aria”, perché ai morti non è stata concessa una lapide né una sepoltura. Mancano luoghi e date. Ci sono solo le iniziali del nome accanto al titolo che indica la singolarità della persona: L’avventuriera (A.N), La veggente (G.C.), La ballerina (D.H), Il collezionista di pietre (E.C.), ecc. E il titolo rinvia alla sua assenza ma la rende allo stesso tempo visibilmente presente, facendoci pensare anche all’imponente lavoro di ricostruzione dei percorsi di morte che la Shoah ha innescato e sui quali c’è ancora molto da chiarire. Qui sono persone che fanno parte in qualche modo della memoria personale dell’autrice che ne vuole restituire l’essenza attraverso la parola poetica nella quale diventa visibile e dicibile.
Se il compito del poeta non è solo ricordare, bensì quello di fare memoria (un’azione per essere fedeli al passato ma anche perché quel passato parli al presente), gli Epitaffi rappresentano proprio questa forma di anamnesi come azione presente. Sono espressione, come ha scritto Walter Busch, di una lingua testimoniale, di una testimonianza che non è quella di un io che rievoca la propria esperienza, ma di un discorso poetico che si costruisce sulle tracce dell’altro o dell’altra, cui è stata tolta la voce e la vita, ricostruendo esistenze cancellate. Nell’inadeguatezza incolmabile del confronto tra i sopravvissuti e le vittime del genocidio, la figura retorica della prosopopea, individuata da Paul de Man come struttura basilare dell’epitaffio, esprime nella poesia di Nelly Sachs il tentativo di dar voce a coloro che sono stati condannati all’“estinzione vocale”, ma con un capovolgimento, in quanto non è il defunto che parla ai viventi, bensì il contrario. Lo sguardo cerca la traccia materiale, lasciata da chi è stato portato via senza possibilità di fuga, per impedire alla parola e all’immagine di sbriciolarsi e di perdere qualsiasi segno, di diventare quella sabbia che dipinge la Pittrice (M.Z.) nell’unico epitaffio in cui la figura prende la parola. Le tracce materiali corrono continuamente il pericolo di disperdersi e di scomparire anche nel lavoro del ricordo che compiono la pittrice e la poetessa sua interlocutrice. Nei testi poetici c’è così un prestare ascolto, ci sono domande, c’è la raccolta di ciò che la vita dissemina, c’è l’attraversamento dell’esperienza del dolore e del male. Pezzi di memoria fragili e tenaci che ancora ci interpellano, gli Epitaffi lottano con l’impossibilità della &gurazione dell’indicibile. Pochi, secondo Enzensberger, potevano replicare alla nota sentenza di Adorno sull’impossibilità di scrivere poesie dopo Auschwitz: “Tra questi Nelly Sachs. Nella sua lingua c’è qualcosa di salvifico”.