La verità del buio nell’ultimo romanzo di Antonio Caiulo

La verità del buio nell’ultimo romanzo di Antonio Caiulo

Dopo felici incursioni nei territori del thriller ecologico-ambientale con due romanzi che sottolineano il concreto impegno di Antonio Caiulo in direzione di una letteratura civilmente ed eticamente legata al rapporto sostenibile tra insediamenti industriali e salute pubblica (Il respiro del cervo, pubblicato nel 2006 dalle Edizioni Giuseppe Laterza e poi riedito, con aggiunte e revisione, nel 2010 da Abramo col titolo mutato La fabbrica delle nuvole malate e Da Capo Bianco a Dover, nel 2009 per Ellis edizioni) lo scrittore-avvocato brindisino recupera una vena felicemente introspettiva già accennata nei delicati racconti dell’esordio letterario (Della pioggia e del bel tempo, 1998) e ora riassestata, con matura e scaltrita coscienza di scrittura, in una storia dura e inquieta di un amore che è insieme gelosa chiusura golosamente autosufficiente e inevitabile necessità di condivisione umanamente più ampia. Intendo riferirmi al romanzo pubblicato dalla barese Progedit nel 2013 col titolo L’amore tra due lune.
Il protagonista (ne conosceremo il nome solo a un certo punto del racconto) viene calato in un plot sapientemente miscelato e distribuito su diversi piani narrativi, condotti con ferma mano verso una loro finale ricomposizione in cui, come i differenti filoni congetturali di un’inchiesta “gialla”, tutto acquista una connotazione più complessa.
Elegante e misurata, la scrittura di questo romanzo aderisce perfettamente al nevrotico suo protagonista, scisso tra la volontà di trovare, dopo numerose e fallimentari esperienze sentimentali, una donna che gli assicuri una esistenza passionalmente significativa e dignitosa ed il pressante desiderio di fuggire dalla mediocre banalità e dalla prevedibilità dei ruoli sociali consolidati.
Il risultato sarà un’avventura negli inquietanti territori della follia e in quelli, altrettanto micidiali, della costruzione di rapporti intersoggettivi fondati inizialmente sulla fisicità e sull’attrazione sessuale: un viaggio complicato e contraddittorio nella teoria delle passioni in cui fuggire e nascondersi per farsi prendere configurano una pratica del piacere come immaginazione irrequieta e avida di sé, sempre scissa tra i piani dell’attrazione chimica e del controllo razionale per non farsi travolgere. Da qui il labirinto cieco in cui si svolgono le pagine più riuscite del romanzo di Caiulo cui forse potremmo applicare, facendolo irritare – ne sono certo – la qualifica di thriller erotico, intendendo con ciò legare insieme teoria delle passioni e lenta scoperta dello stesso soggetto-oggetto delle passioni, in una scrittura tesa e densamente avvolgente che spiazza continuamente e sorprende il lettore, giocando a rimpiattino con lui, ora assecondandone le attese, ora spingendolo ad andare oltre l’ovvietà dell’enunciato e ad immergersi nel torrido territorio della malattia e della febbrile presenza dell’eros.
Il protagonista del romanzo eredita alcune delle caratteristiche principali dei precedenti romanzi dell’autore: mentalmente contorto, tortuoso, capace di complicarsi ad ogni passo la vita scegliendo donne sbagliate, presume molto di sé, al punto da ingaggiare una serrata lotta col suo psicoterapeuta da cui sostanzialmente dipendono la sua autostima e la possibilità di mettere ordine nel caos della sua esistenza.
Muovendosi nel solco di una subalternità sempre negata e sempre riaffiorante, con qualche lontana eco delle idiosincrasie sveviane nei confronti della psicanalisi, l’infermiere professionale Michele (verremo a conoscere a poco a poco nome e attività lavorativa del personaggio) ricostruisce al suo odioso-amato psicoterapeuta Sandro le circostanze del suo ultimo e deludente innamoramento, alla ricerca di un improbabile equilibrio capace di restituirgli “dignità”, vale a dire disponibilità ad affrontare la vita senza il terrore della solitudine.
La paura della passione “limitante” produce un personaggio fobico e ansioso, cosciente della propria dipendenza dalla donna amata e perciò inevitabilmente aperto alle delusioni e alle sconfitte, pronto a cercare rifugio negli antidepressivi e nelle continue fughe in cerca di un rapporto come quello che stabilisce col mare. L’acqua degli oceani gli comunica pace e serenità, proprio perché potere assoluto e terrificante della natura con cui intrattenere rapporti di confidente affetto-rispetto.
Portatore sano (e perciò ancor più pericoloso e contagioso) della malattia mentale e della follia, Michele è incline anche ad una calcolata rêverie sulle donne, per cui riesce a fantasticare sulla calda qualità timbrica della voce di una operatrice di call-center fino a farne una creatura di sogno e addirittura la palpabile immagine di un desiderio. Nessuna meraviglio desta poi il fatto che il protagonista, vivendo in casa di un avvocato, giochi ad assumerne l’identità o si perda nell’inventarsi una ellisse a cui sorridere e con cui comunicare, servendosi di oggetti del tutto consueti nella praticità di una cucina.
È un romanzo d’amore, dunque, nel quale il ritmo narrativo acquista le cadenze di una sincopata scoperta di ipotesi e di congetture, una storia delicata e insieme densamente “forte” del dilemma tra due scelte (entrambe colme di passione) tra solitudine, da una parte, e devastazione, dall’altra, a cui “una donna può portare l’uomo, un tempo amato, quando l’amore finisce”, ma anche può essere letto come tentativo di comprendere la determinazione con cui un uomo riesce ad essere fedele alla sua donna “fino a non vederne i difetti e i tradimenti”, per dirla con le parole dello stesso Caiulo. Corollario di tutto è la coscienza che il gioco lo conduce sempre la donna, l’unica ad aver capito qualcosa nel caos della vita.
I tratti più affascinanti di questo romanzo sono, a mio avviso, due: da un lato proprio l’invenzione dell’ellisse, di Ellis cioè, una proiezione della fantasia di uomo solo del personaggio, un bicchiere rivestito e truccato che assiste e giudica tutti i moti vitali del protagonista, e, dall’altro, l’invenzione letteraria delle serate al buio con Veronica, la voce banale di un call-center, in un gioco ironico, inquietante e crudele di equivoci e di laceranti false identità.
Alle schermaglie con Veronica si sovrappone il coinvolgimento affettivo di Michele con Angela, degente all’ospedale nel reparto psichiatrico in cui lo stesso Michele lavora: questo segmento dell’inquietudine sentimentale del protagonista acquista una particolare qualità malinconica proprio per le caratteristiche disturbate di Angela, personaggio che vaga sul labile confine tra normalità e follia, cui è concesso, dalla malattia, di trovarsi a dispensare quella saggezza che nasce dalla non accettazione di una realtà univoca e dal continuo ondeggiare fra la pretesa di razionalità dei sanitari dell’ospedale e l’immensa ricchezza della follia per la quale l’episodicità e il frammento contano quanto una vita intera.
Il mistero di una simile esistenza attira Michele e lo spinge a considerare Angela non un caso clinico, ma una donna consapevole del proprio fascino, la cui inesplicabile e drammatica fuga dal reparto, in una notte di tempesta e di fulmini, accenderà la parte decisiva del racconto.
Centrale risulterà, come ho già detto, in tutta l’economia del romanzo, la descrizione dei rapporti al buio con Veronica, proprio perché in quelle pagine la scrittura di Caiulo sembra far prevalere, contro la terrena materialità dell’esistenza e la vacuità ingannevole della vista,il profumo di donna, la leggerezza dell’aria, il calore del corpo e il ritmo del respiro.
Tutto l’intreccio precipita poi nelle convulse sequenze di una notte, nella quale gli eventi si sovrappongono e si confondono, con l’immagine di Angela che entra furtivamente nella camera di una donna ricoverata nel reparto, con gli occhi mentali di Michele che scrutano nella memoria di un passato lacerante e con Sandro, lo psicoterapeuta, che il protagonista crede implicato in un torbido gioco sessuale con una paziente e che invece conduce lo smascheramento e la decifrazione della vicenda. Da qui nascono, in Michele, tutta una serie di reazioni e di fughe, un perdersi dietro il gioco della seduzione, fino ad immaginare improbabili aneliti di vita e di natura ridotta ai suoi aspetti elementari.
Così, in un mondo buio fatto di sensazioni tattili e di fervida e insieme torbida rêverie, la luce del desiderio illumina tutta la vicenda e fa crescere l’intesa tra Veronica e Michele che ormai ha capito l’imbroglio nevrotico dei ricordi. Qui il gioco letterario si fa intenso ed intrigante. Diviso tra sesso e amore, Michele confessa a Veronica di non essere l’avvocato di cui ha casualmente assunto l’identità e scopra, a sua volta, che Veronica conosce il suo vero nome e la sua professione.
Michele, muovendosi tra omissioni e censure, accetta inevitabilmente la strategia della donna, la quale, nel buio, rende più audaci le sue proposte e gli rivela di conoscere sul suo conto particolari di estrema importanza: prima di concedersi a Michele, vuole sapere quali siano le ragioni che hanno spinto Angela a fuggire dal reparto psichiatrico e se sia vero che la sua fuga dipenda dal tentativo di Michele di avere con lei un rapporto sessuale.
Qui le due linee di intreccio si ricongiungono e il peso su Michele del suo passato “irrisolto” emerge in tutta la sua importanza decisiva. Non staremo qui a raccontare tutte le minute articolazioni con cui le tessere del puzzle narrativo creato da Caiulo vengono a ricomporsi: basti dire che l’intenso e coinvolgente finale, con la sua sorpresa produttiva, sottolinea il fatto che solo a certe condizioni il buio del passato può farsi strumento di ricomposizione sentimentale e la nevrosi del nostro vivere convulso può portarci verso una decente accettazione di quel pasticcio che chiamiamo vita.
Romanzo maturo di uno scrittore che non dovrebbe più celare le sue ambizioni letterarie, quest’ultima fatica di Antonio Caiulo ci consegna l’inquietante immagine di una umanità sempre più affannata, nevrotica e scissa, sempre meno incline a lasciarsi sedurre e sempre più attratta da un gioco plurale di insofferenze e di torturanti crudeltà che assume spesso le caratteristiche di un bisogno di verità: ma questa ansia è quasi sempre delusa da una sorta di egoismo autosufficiente e masochistico, destinato ad oscillare tra la consapevole autodistruzione e l’annichilimento demandato all’altro da sé, quell’altro pur cercato e desiderato, conflittuale e spaventosamente identico a sé del quale ci avevano già parlato Baudelaire e Rimbaud nella loro angosciosa veggenza.

Data: venerdì 7 Giugno 2013
Autore:
Ettore Catalano
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