Come parlare ai bambini di lager nazisti e di Shoah?
Provate con racconti e disegni “in punta di stella”
“Le parole per dirlo”, come il titolo di un famoso libro di Marie Cardinal: queste parole che dicono il dolore, la solitudine, la paura, la fame, la prigionia, il freddo le ha trovate la scrittrice Anna Baccelliere (di Grumo Appula, Bari) che si è cimentata nel delicatissimo compito di raccontare ai bambini, con storie, filastrocche, pensieri, nel modo più delicato e umano possibile, quel grande evento di disumanità che l’Olocausto (dal greco, “bruciato interamente”) ha rappresentato per il ’900: lo sterminio di un numero compreso tra i 5 e i 6 milioni di ebrei (e non solo) di ogni sesso ed età.
Il racconto , scandito in tre momenti narrativi (con l’incanto, con gli interrogativi, con i sogni) è corredato e inframezzato dalle immagini di Liliana Carone, illustratrice barese esperta di letteratura per ragazzi. La magia emotiva di questo libro, destinato ai bambini ma da leggere anche per gli adulti, sta proprio nella fusione perfetta di parole e segni, come appare dall’incipit: “Quando vivevo a casa, spesso giocavo con nonno Elia”, corredato dalla illustrazione dei volti, ancora sereni e fiduciosi del bambino-io narrante e del nonno, affettuosamente sorridente all’avvenire, mentre sullo sfondo corrono, come in un film, le case sicure e illuminate del prima, che si avviano al rovesciamento del dopo… e compaiono, già nella prima storia (Conto e m’incanto) le stelle, filo conduttore di tutto il libro. le stelle gialle a sei punte dei bambini ebrei, (motivo conduttore del secondo racconto) ma anche le stelle lucenti che si possono vedere nel cielo, nonostante il filo spinato, quelle stelle che sono il tema della “filastrocca un po’ paurosa”, nel secondo momento narrativo.
Dunque si può raccontare l’orrore senza spaventare, con parole che rimandano alla realtà brutale dei lager e della condizione degli internati-bambini, ma lasciando un messaggio di speranza, la possibilità che da un pugno di terra, grazie ai bambini, possa rinascere qualcosa che cresca nel futuro, che faccia credere che Dio non è morto ad Auschwitz, come in una famosa canzone-preghiera.
L’autrice e l’illustratrice non tralasciano e non dimenticano nulla di quell’orrore: c’è la neve, c’è il filo spinato, ci sono i topi, ci sono i numeri sul braccio dei bimbi, c’è il cibo avariato, c’è un mondo in frantumi, un mondo che si è capovolto. Ma parole e disegni non danno angoscia, bensì fiducia in una luce che possa penetrare il buio fitto della notte; il racconto si chiude con il sogno dei bambini, il sogno di libertà che supera le recinzioni e riporta la vita a germogliare piano, a cercare la via di una nuova umanità, caratterizzata dalla consapevolezza del passato e dalla tolleranza e dal rispetto per l’altro.
Il piccolo alfabeto illustrato della Shoah (in lingua ebraica vuol dire “catastrofe”, “distruzione”), al termine delle tre sezioni, è un contributo didattico interessante e intelligente ai docenti e ai genitori, perché possano spiegare, grazie anche alle foto d’epoca, i riferimenti precisi dell’Olocausto.
Mancava, nel panorama letterario di letteratura per ragazzi, un libro di questa forza, di questa intensità, di questa capacità emotiva. Ne siamo grati alle autrici e all’editore, che ci hanno consegnato un pezzo di memoria da tramandare alle giovani generazioni, nella scuola e nella famiglia.