Mescolando interpretazioni critiche e sintesi poetiche, Ettore Catalano con Per altre terre. Il viaggio di Ulisse (Progedit, pp. 128, euro 22) in compagnia delle tavole di Donato Sciannimanico ha riletto l’Odissea, «la madre di tutte le storie della tradizione occidentale», come l’autore scrive nell’introduzione, ripercorrendo il viaggio dei viaggi e portando nelle emozioni della contemporaneità la figura dell’eroe omerico che, «condannato alla condizione di narratore e talmente intrecciato al suo narrare» finisce col confondere «menzogna reale e verità narrativa», finendo così nelle “trame” del suo stesso racconto, nella doppia accezione di intreccio e inganno. Questa rilettura si presenta come una sorta di melting pot fra il testo classico, le interpretazioni critiche e artistiche, le suggestioni liriche moderne e contemporanee. Dall’intuizione metodologica di un testo inteso come mosaico di citazioni che, come la tela di Penelope, crea e rompe storie con implacabile abilità, si giunge a dimostrare che l’Odissea può entrare in una rete di altri libri in essa contenuti o da essa generati, in un gioco intertestuale di rinvii e di affascinanti “memorie”.
A riprova «della fertilità inesauribile della classicità», l’autore mescola il testo omerico a liriche di poeti come Kavafìs, Seferis, Ritsos, Elitis, Malerba e Bevilacqua, in una formula di incontri intertestuali che schiudono varie ipotesi interpretative, tra le quali prende corpo più delle altre quella di un Ulisse riletto come una sorta di macchina narrativa dai molteplici interrogativi, forse più per quello che non dice e nasconde. Egli appare polytropos, cioè multiforme, inquieto, ingannatore, smarrito nelle trappole stesse del suo “raccontare”, come colui che «fingeva, dicendo molte cose simili al vero». Sorprende che fra i vari rimandi ai poeti moderni che si sono accostati a Ulisse, manchi il riferimento a Leopardi, del quale tra l’altro il professor Catalano è cultore. Il poeta recanatese nello Zibaldone, stroncando drasticamente Ulisse, afferma che, pur essendo un personaggio “meraviglioso e straordinario”, ciò non è sufficiente a renderlo interessante: «Ulisse malgrado delle sue tante e sì grandi e sì varie e sì nuove e sì continue sventure, e malgrado ch’ei comparisca misero fino quasi all’ultimo punto, non riesce per niun modo amabile. E per tanto ei non interessa…». E, sempre Leopardi, spiega il motivo della sua pesante critica, affermando che essendo quella in cui l’Odissea vede la luce epoca della Natura, la Ragione era ancora troppo imperfetta perché qualcuno potesse modellare in base ad essa un carattere buono e lodevole. Azzardiamo un’ipotesi interpretativa di quest’omissione: la rilettura dell’Odissea, frutto di questa nostra epoca iper-razionale, sarà stata condotta dal professor Catalano seguendo l’impulso istintivo della Natura.
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