Chi pensava che per Michele Fanelli il tre fosse il numero perfetto, faccia pure un passettino indietro. Con “Tradizioni baresane” (Progedit, pag. 94, euro 15), l’autore serve il poker. Il libro trasforma la saga sulla pugliesità, inaugurata quasi dieci anni fa da “U settane” (Stilo) in una tetralogia. Scrittore, attore, conduttore tv, meglio si farebbe a definire Fanelli un ruspante e simpatico guru del folclore locale. In certi casi, è vero, si rischia la coazione a ripetersi. Ma l’ex consigliere comunale trova sempre una visuale nuova, come la serie di scorci dell’amata Bari vecchia (guai a chiamarla borgo antico, ammonisce serio Nicola Cutino nella prefazione), una scoperta continua anche agli occhi di un indigeno.
Tra i vicoli scorrono le istantanee dei mestieri di quando Berta filava. L’aggiustapentole, il mestapanni, lo stagnaro, lo scarparo, ecc. Tutti ricondotti a un nome, un cognome, un soprannome e un indirizzo che restituiscono al lettore i tratti stinti di un paesaggio umano, di un territorio dell’anima. Non un algido prontuario, dunque, ma un taccuino naif di memorie intime. Quasi un album ingiallito di una famiglia allargata. Tra i ritratti spicca quello di Vito Guerra, campione della baresità, artista di strada, degno erede del grande e indimenticato Piripicchio, di cui porta il nomignolo.
Lingua spiccia e stile pop, Fanelli smozzica l’interiorità di personaggi sì pittoreschi, ma genuini come i cibi dell’immancabile capitolo sul patrimonio culinario nicolaiano. Figure in ossa e carne, come la montagna di muscoli e generosità di Peppino, detto Ercole, che durante l’alluvione che colpì il capoluogo nel 1905 salvò un centinaio di persone in via Manzoni, un atto di eroismo casalingo che straripò dai confini urbani per approdare sulle pagine del quotidiano francese "Le Figaro". Giorni in cui la Bari di allora stava alla Genova acqua e fango degli ultimi tempi.