Non se la passa bene la città di Bari, ormai non più volano di un’economia in passato proiettata verso luminosi destini e fucina di esperimenti tecnologici di ampio respiro, oggi sempre meno città-regione e sempre più incapace di dialogare col territorio. E’ una città vittima di una classe dirigente autoreferenziale – e questo è un dato comune all’economia, alla politica e alla cultura – legata al guadagno facile e destinata al progressivo impoverimento delle prospettive di legame col territorio. Così almeno la pensano gli autori del denso volume L’intelligenza della città – Bari e la Puglia tra realtà e progetto, tutti docenti universitari, che affrontano la vicenda del capoluogo pugliese da più angolazioni ma con un unico intento: cercare di ricreare un’ ”etica dell’impegno” e, perché no? un rinnovato affetto per la città di san Nicola.
Nel ripercorrere le tappe di una vicenda che in questi ultimi 40 ani ha visto Bari protagonista, nel bene e nel male, di significativi cambiamenti – la trasformazione la della classe dirigente che ha accantonato l’etica quasi calvinista del lavoro per dedicarsi ad affari facilmente remunerativi, lo sguardo nuovo dato dall’industria culturale e cinematografica, la vicenda emblematica del Petruzzelli, la chiusura al nuovo del mondo accademico, le trasformazioni della famiglia-tipo e la contraddittoria domanda di istruzione/formazione – il libro individua la sconfitta degli ideali che hanno animato in passato i baresi e che hanno fatto parlare di Bari come della nuova “capitale del Mezzogiorno”. Raffaele Cavalluzzi, Pierfranco Moliterrni, Marcello Montanari, Ferdinando Pappalardo, Enzo Persichella, sono, ognuno nel proprio campo di indagine, consapevoli del fatto che già da tempo Bari aveva anticipato l’attuale sistema-Italia . Perciò quella descritta è una città che è diventata estranea a se stessa, che non ha saputo sfruttare in termini di creazione di servizi il boom nell’edilizia che l’ha caratterizzata negli anni ’60-’70; che non ha saputo dialogare col territorio né cercare soluzioni nuove alla crisi di valori, oltre che economica, di questi ultimi vent’anni. Una città che non ha saputo o voluto cercare risposte alle sfide imposte dal cambiamento. E così è accaduto che un patrimonio enorme, in termini di sperimentazione e modernizzazione che proveniva dal mondo accademico e che puntava ad una politica di servizi e infrastrutture per attrarre una sempre maggior numero di studenti (che poi sarebbero diventati i protagonisti dell’innovazione scientifico-tecnologica) si è perso per lasciar posto ad una visione asfittica delle grandi questioni inerenti il futuro di quella Bari che ormai non può essere considerata più il simbolo di una regione in crescita.
C’è un pensiero di fondo che percorre il volume, e questo malgrado la diversità di approcci: “E’ venuta a mancare – è scritto nella prefazione – l’idea di Bari come centro promotore di servizi e di saperi funzionali alla crescita produttiva dell’intera regione”. Bari, forse, non sa parlare più la lingua del territorio in cui è innestata. E’ destinata a diventare una città muta?