Secondo una famosa affermazione di Heidegger «il linguaggio è la casa dell’essere e nella sua dimora abita l’uomo». Seguendo questa metafora, si può forse dire che la traduzione è la strada del divenire e su di essa viaggiano uomini e donne. Ci sembra il modo più semplice per riassumere “Translationscapes. Comunità, lingue e traduzioni interculturali” (Progedit, Bari 2009, pp. 192, euro 16,00), curato da Annarita Taronna, ricercatrice di Lingua e traduzione inglese alla facoltà barese di Scienze della formazione: un libro sfaccettato, complesso, apparentemente superspecialistico, ma ricco di riflessioni e racconti di esperienze da tutto il mondo sul tema della traduzione come processo di scambio tra culture e soggetti. Insieme ai contributi stranieri, il volume raccoglie i saggi di una vivace comunità di docenti pugliesi di linguistica e culture letterarie, come Paola Zaccaria, Angela D’Ottavio, Maria Rosario Dagostino e Patrizia Calefato, semiologa barese che dirige la collana “Culture/Segni/Comunicazione” della Progedit di qui questo libro fa parte. In verità, tutta la collana della Calefato, con i precedenti “Pubblicit@rte. Segni e visioni (2009), “I segni del cinema” (2008), “Il piacere del ritorno. Citazione, arti visive, comunicazione” (2007), è un modo di far libri con l’obiettivo extratestuale di costruire una comunità antiprovinciale, multidisciplinare, una «comunità affettiva» la definirebbe Paola Zaccaria, non ristretta ai confini di un luogo o di un settore accademico: e la ricerca grafica sulle copertine di questi volumi, progettate dall’architetto barese Franco Altobelli, non è un dettaglio secondario, ma fa del libro, già come oggetto, lo spazio di un impegno transculturale, fatti di incontri veri, ma anche di scontri dolorosi, guerre, e faticose ricomposizioni di legami. «Non si può più rinunciare a comunicare interculturalmente – dice Annarita Taronna – perché l’altro non è più altrove ma è contiguo, ne percepiamo il respiro dalle sue parole, godiamo del suono della sua lingua e del contatto con la pelle che riveste i suoi pensieri». Descrivendo le attività di traduttori e interpreti che operano in zone di guerra, o in situazioni di interrogatorio o in quelle dove è indispensabile la mediazione culturale, si comprende che la traduzione non è più un atto meccanico e rassicurante di trasmissione di significati da una lingua di partenza ad una di arrivo; è invece il momento etico più delicato nella costruzione di una società in cui coabitino culture diverse, e richiede immedesimazione, comprensione, ascolto responsabile. Questo libro è un esempio di quanto, nelle attuali scienze della comunicazione, la traduzione abbia lo stesso statuto che tradizionalmente ha avuto l’etica nelle scienze filosofiche. E di come l’impegno verso l’internazionalismo, storicamente svolto dal movimento operaio, sia diventato il transculturalismo dei nuovi soggetti, gruppi migranti, pacifisti, mediatori, autori e lettori. La filosofia della traduzione ci aiuta a pensare e a costruire politicamente il mondo nuovo.