MICHELE DAMIANI POETA
Il segno più compiuto e riconoscibile che ci ha dato la Puglia dell’ultimo Novecento è quello di Michele Damiani. Ora il pittore può dipingere tutto e disegnare tutto ciò che gli passa per la testa. Il mondo che esprime è un suo mondo raccontato con una mano che a prima vista riconosci come personalissimo. E questo mi pare il segno di più grande maturità di un artista.
Poi ci sono i contenuti tematici e lì,bisognerebbe percorrere i molti cicli e le molte stagioni attraversate, i molti sentimenti espressi. Dall’ira per la fine della civiltà del vicolo all’ironia verso la cultura borghese,al desiderio di fuga verso una Samarcanda intesa come l’isola che non c’è, alle aperture verso un Mediterraneo che fa da contraltare al nichilismo occidentale,all’ironia per un mondo ideologico che molto ha promesso e poco ha mantenuto. E in mezzo,i tedeschi, l’espressionismo, gli austriaci. In mezzo la scoperta del lettering e il desiderio di stare in compagnia di scrittori libri e poeti. Perché Damiani è poeta nell’anima.
Chi frequenta il suo atelier,queste cose le sa,perché lo vedi il pittore raccolto sotto l’abat-jour mentre raccoglie dall’albero della fantasia e deposita nella cesta dei taccuini. Quanti taccuini ha disegnato imbrattato scompaginato Michele? Non ve lo so dire. Ogni tanto ne apre uno e legge versi di autori moderni e antichi che ha appena finito di trascrivere. Michele Damiani è un lettore forte,uno che crede nella forza rigenerativa della cultura e innamorato della pagina arcigna. Arcigno lui stesso, sebbene dissimuli in una giocosità e in una affabilità colloquiale la sua voglia di pittura e di cultura di segno alto.
Il suo studio è sempre stato un luogo di incontro di melomani,di pittori e di scrittori. Penso a Cesare Marino, uno dei più abituali frequentatori dell’atelier e poi a Ciccio Spizzico,del quale Michele non finisce mai di dire bene e a Michele Campione,che aveva una venerazione per il pittore del tepore muliebre. Tra gli amici di vecchia data c’è Giorgio Saponaro, sempre carico di idee,di progetti narrativi e pronto ad organizzare mostre e libri. Ci sono Nicola Roncone con le sue ricerche spasmodiche di libri di storia economica di Bari e Tonino Rossano con le sue ironie sceniche e Franco Chieco, il re dei melomani,sorridente ma adirato per come Bari ha maltrattato Riccardo Muti,al quale Damiani ha dedicato alcuni ritratti e forse la sua vita di innamorato della lirica e della sinfonia.
Ma in quello studio ci sono passati molti grandi scrittori,da Guido Ceronetti a Raffaele Crovi a Walter Pedullà a Peppo Pontiggia e a Gino Montesanto, lì sono passati Alberto Sughi ed Erik Hobsbawm e i tanti poeti e scrittori e docenti dell’università di Bari che hanno avuto bisogno di un bozzetto per copertina, da Giorgio Otranto a Enzo Quarto a Vittoriano Caporale a Francesco Bellino a Daniele Giancane e a Filippo Boscia, ai grandi amici dei pittori come Zina D’Innella e Giovanni Labbate. Insomma c’è una città e forse un’Italia intera che ha varcato la soglia di quello studio. E ogni visitatore, ogni amico, ha lasciato un pensiero,un sentimento,una riflessione. Dalle quali Michele Damiani pesca a piene mani, felice per la repubblica delle lettere che è riuscito a creare in una stanza di quattro metri per quattro.
Oggi Michele esce allo scoperto in un terreno che per lui potrebbe essere minato. Quando mi consegna il dattiloscritto della raccolta chiedendomi di leggere,di tagliare se credo,di introdurre con uno scritto, mi vengono le paturnie. Temo di imbattermi in un malloppo,uno zibaldone melodrammatico che distruggerà la nostra amicizia. Invece in La memoria perduta oggi edito da Progedit, mi sorprende il piacere della lettura, un piacere forse dovuto alla epigrammaticità e alla stringatezza, alla ricerca di metafore folgoranti e immagini tenui nelle quali sono nascosti i sentimenti. Il piacere della scoperta.
E che c’è dentro questi versi ora montaliani ora seguaci della musicalità alla Crovi ora vicini alla colloquialità lirica di Gatto,alla sentenziosità di Sinisgalli e alla poesia antiermetica alla Accocca ? Ci sono le preoccupazioni e l’orgoglio per i figli, Gianluigi e Raffaella e la sintesi della sua vita “disegnare/un battello/sempre quello/piccolo come una noce/forte come una croce”.Il battello ha dentro due viaggiatori,sono il pittore e la moglie,Marcella,raffigurati in un disegno a fronte e ossessivamente onnipresenti nella pittura di Damiani. Una pittura delle piccole cose,come la sua poesia, dal gusto tardocrepuscolare, che parla del mare di primavera,delle lunghe sere davanti al televisore,del catrame marino, dei gabbiani albanesi,degli amici,dello scirocco sull’Adriatico,della passione per la lirica,delle sirenette e dei diavoli e dei monachicchi e delle bussole e dei sestanti e degli olivi e dell’incapacità di capire i giovani e i figli e i sogni degli artisti. Una poesia malinconica nonostante le certezze offerte dalla compagna,malinconia della memoria,per l’infanzia sparita, per gli affetti spariti, malinconia del sentirsi “filo d’erba/tra uno sputo/al sapore di caramella… e /una giuntura/un gradino” nella città piccoloborghese, abitata da commedianti,da mercanti, malinconia per la mano dell’artista infilata nella “tasca bucata” del tempo e dell’economia. La vita è un sabato che passa in compagnia di Mahler, ma che diventa domenica nella solarità dell’Adriatico e di una Puglia sterminata,bella per i luoghi dell’anima come Ostuni, Porto Badisco, Bari,e poi la Basilicata di Aliano, di Scotellaro e di Carlo Levi. La vita è una domenica trascorsa in compagnia di amici, Campione, Sandro Chia, Menolascina, Avenali. La domenica della famiglia e del calendario degli affetti,quello dei natali e delle pasque e dei riti confraternali,vissuti tra madonne e cristi arsi e sannicola benedicenti, con la memoria lieve degli anni in cui si avevano pochi spiccioli ma tutto il tempo necessario per centellinare il sapore della tenerezza.