LETTERATURA/ UN SAGGIO DI R.LOVASCIO
FLEUR JAEGGY, LA SCRITTURA E LA LAMA AFFILATA
Il fascino inquieto dei romanzi della Jaggy (svizzera, ma apprezzata autrice italiana)
A Fleur Jaeggy – nata in Svizzera, di madrelingua italiana, residente a Milano da molti anni – è dedicato il recente volume di Rossella Lovascio, dal titolo Le storie inquiete di Fleur Jaeggy (Bari, Progedit, 2007). Si tratta di una rilettura delle sei opere della scrittrice zurighese, tutte pubblicate per i tipi dell’Adelphi (Il dito in bocca, 1968; L’angelo custode, 1971; Le statue d’acqua, 1980; I beati anni del castigo, 1989, Premio “Bagutta” 1990; La paura del cielo, 1994; Proleterka, 2001, Premio “Viareggio” 2002), trattate secondo l’ordine cronologico in cui le stesse sono state edite.
Correda il libro una Introduzione, nella quale Rossella Lovascio racconta l’incontro casuale con la fascinosa scrittura di Fleur Jaeggy, avvenuto attraverso l’inquietante lettura dei Beati anni del castigo, e spiega le ragioni del suo crescente interesse per la stessa. Una Nota bio-bibliografica sull’autrice svizzera, che è anche traduttrice e saggista, la rivela ancora prevalentemente presente nelle pagine culturali di prestigiosi quotidiani e periodici, nonostante i riconoscimenti importanti e le significative pronunce in suo favore da parte di autorevoli studiosi di letterature. Alle poche altre monografie su Fleur Jaeggy (G. Pozzi: 1996; R. Castagnola: 2006) si aggiunge, dunque, il volume della Lovascio, nel quale il tema «innervante» che collega le sei opere esaminate è quello della follia, possibile ‘varco’ nella più dispersiva «ricerca spasmodica dell’io». Un tema, quest’ultimo, al quale la studiosa barese – che è stata docente di Lettere negli istituti superiori e dirige un laboratorio di scrittura creativa per l’Università della Terza età – ha più volte prestato attenzione, sia in sede narrativa, sia in sede saggistica, con interventi su Milena Milani e Antonia Pozzi.
Caratterizzata dalla successione di frasi brevi e taglienti, quasi in forma di aforisma (anche grazie alla conoscenza della letteratura sapienziale e mistica occidentale e orientale), la scrittura «affilata come una lama» della Jaeggy (Brodskij), «reginetta della paratassi» secondo Cases, determina a sua volta quella della Lovascio, mi sembra ugualmente densa e incisiva, pur se consegnata fiduciosamente alla spontaneità delle emozioni. L’autrice barese riconduce a quest’ultimo elemento la genesi dell’intero libro: nel primo impatto con le sei opere dichiara di non aver seguito l’ordine di pubblicazione, bensì di essersi lasciata «suggestionare dai titoli e guidare dalle emozioni», fino alla movimentata mappatura di una «realtà palustre, faticosamente in salita verso la follia», eppure mobilissima «in un susseguirsi di metamorfosi irreali» e quotidiane. A distanza di anni, quelle impressioni rivivono non meno intense nelle pagine della Lovascio e ci regalano l’emozione dell’incontro con l’universo narrativo della Jaeggy.